Più della luce, in perfetto chiaroscuro caravaggesco, è il dramma assoluto quello che mostrano gli scatti di Ahmed al-Arini, il fotografo che dalla Striscia testimonia attraverso media e agenzie internazionali (France Presse, Bbc, Le Monde, Anadolu) la tortura per fame inflitta da Israele ai due milioni di gazawi. Fra loro, se non scheletrici come Muhammad Zakariya Ayyoub al-Motouq il figliolo ritratto in braccio alla madre, un quarto dei bambini è malnutrito, ha denunciato ancora oggi “Medici senza Frontiere”. Ma se tanti politici ascoltano e, a parole, si rammaricano, la perversa catena di morte non viene fermata. Da nessuno. A poco servono tardivi riconoscimenti d’una casa-Stato palestinese che non esiste più né nella Gaza rasa al suolo, né nella Cisgiordania stritolata da coloni sanguinari e militari loro protettori. La coppia del genocidio Netanyahu-Trump cammina dritta per ripulire la Striscia dai suoi abitanti e usa ogni misura: innanzitutto lo scorrere del tempo, che fa languire chi vive soffocato da tanta crudeltà criminale. Poi l’arma dell’estinzione indiretta per fame, e sempre ordigni e pallottole che quotidianamente mietono vittime anche fra chi s’affanna a recuperare una ciotola di cous-cous, una manciata di farina, una scorta d’acqua potabile. Lo Stato d’Israele non recede dalla pratica che pure cinici militaristi dichiarano fuori da qualsiasi protocollo bellico. Ha l’alibi del nemico terrorista, che accusa di non voler restituire i prigionieri ancora sotto la sua giurisdizione (cinquantanove di cui forse la metà in vita), mentre Hamas con l’intermediazione di Egitto e Qatar per quella restituzione rilancia un accordo con cessate il fuoco duraturo e la liberazione di duecento prigionieri palestinesi. Per ora non c’è luce. E gli spiragli che s’intravvedono, da sotto le tende dove giacciono corpi martirizzati, baciano le membra emaciate di chi non sopravvive a una miseria incancrenita per ragione di guerra. Un realismo così crudo, un dolore così immenso, un tormento così profondo non compariva in nessuna tela scenografica e teatrale del Maestro del chiaroscuro barocco. Quella precarietà esistenziale nella quale Caravaggio sceglieva umili, diseredati, reietti per trasferirli nei suoi dipinti a omaggiare santi o a incarnarne le figure, non riproducevano supplizi simili a quelli che abbiamo sotto gli occhi con questo sterminio.
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