giovedì 3 luglio 2025

Il Cairo, echi dal carcere

 


L’hanno sbattuto in galera Magdy Ghoneim, sessant’anni, giornalista egiziano, molto attivo sul fronte dei diritti umani. Non è la prima volta. Già in altre due occasioni ha dovuto provare le celle di al Sisi solo per una sorta di reati d’opinione, aver documentato le restrizioni subìte dagli stessi lavoratori dell’informazione non schierati col regime, con tanto di maltrattamenti sotto casa: la sede dell’Ordine professionale. Anche in questa circostanza non ci sono imputazioni a carico di Ghoneim. Forse sconta l’avere aiutato Layla Seif, la madre coraggio del detenuto politico Alaa al Fattah, a salire le scale nel corso d’una recente conferenza stampa tenutasi al Cairo attorno alla prigionia infinita del figlio. La docente universitaria Seif ha lanciato da mesi uno sciopero della fame contro l’accanimento giudiziario rivolto ad Alaa, inascoltata non solo dal presidente-carceriere egiziano, ma dallo stesso premier inglese Starmer cui la donna s’è rivolta perché sostenesse un cittadino britannico, Alaa ha infatti una doppia nazionalità. Altra macchia di Ghoneim, secondo il regime militare cairota, l’appoggio offerto al collega Khaled el-Balchi che ha rinnovato l’incarico di presidente del sindacato giornalisti (Egypt’s Jurnalism Syndacate). Già nel 2023 el-Balchi aveva avuto la meglio su Khaled Miri, direttore del quotidiano filogovernativo Akhbar al Youm, una delle maggiori testate egiziane, ed essendo vicino a quel che resta dell’opposizione e ad alcuni organismi che si battono per i diritti umani, non è certo ben visto dai vertici militari. Il regime di al Sisi ha sempre avuto un rapporto ambivalente col mondo dell’informazione interna che nel 2013 aveva lanciato una ferrea campagna contro il governo Morsi e la Fratellanza Musulmana, vincitori delle elezioni dell’anno precedente. Anche grazie a quell’impegno, alla posizione di partiti laici e socialisti, i militari che avevano incarcerato il presidente legittimo, operarono il massacro di oltre mille attivisti islamici accampati in segno di protesta davanti alla moschea Rabi’a al-Adawiyya e il conseguente “golpe bianco” con cui Sisi saliva al potere. Da quel momento le prigioni egiziane non mancano di residenti, alcuni seppelliti vivi da una dozzina d’anni, altri seppelliti e basta come lo stesso Morsi e anche suo figlio. 


 

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