Narendra Modi, trionfatore delle elezioni indiane, dice: i
partiti d’opposizione hanno ingannato le minoranze, innanzitutto islamiche.
Esse sono schiacciate in un angolo, soggette a immaginarie paure. Eppure fra i
303 deputati eletti dal Bharatiya Yanata Party non c’è neppure un musulmano, fa
notare qualche commentatore locale non schierato. E chi osserva con occhio
critico il governo aggiunge “Col verdetto
elettorale la maggioranza indù dà sfogo alle insoddisfatte aspirazioni di
un’India indù. Se Modi è interessato alla condizione delle minoranze, allora
dovrebbe fermare le manifestazioni d’intolleranza contro i musulmani che sono
proseguite dopo il suo successo elettorale”. In questi giorni si sono
verificati casi di pestaggio anche di donne e bambini islamici e
dall’insediamento di Modi a primo ministro i linciaggi a sfondo religioso, la costruzione
di templi al posto di moschee, l’introduzione di norme volte a escludere gli
islamici si sono riproposti alle cronache ampliando certi contorni già
conosciuti in altre fasi. Del resto il passato di Modi, ragazzo povero e
politico che s’è fatto da sé, parla chiaramente della fascinazione che aveva
avuto davanti al fanatismo religioso. Nel nativo distretto Gujarati da giovane
aveva militato nel Rashtriya Swayamsevak Sangh, gruppo paramilitare indù da cui
proveniva l’assassino del Mahatma Ghandi. Quell’omicidio accadeva nel gennaio
1948, due anni prima che Modi nascesse.
Ma il gruppo del fanatismo indù, seppure per anni non
raccolse un gran seguito fra gli indiani, aveva nel dna certi princìpi che
tuttora circolano nell’estremismo induista: considerare il proprio credo non
una religione, bensì un percorso di vita e di cultura del popolo di quella
terra. Da lì il passaggio per l’India indù il passo è breve. L’opinionista
Saeed Naqvi, ascoltato da Al Jazeera,
ritiene che il Bjp alimenti un piano mono-religioso per un’India solo induista,
progetto da portare a termine in alcune decadi. Invece alcuni avvocati indiani
dei diritti intervistati sul tema sempre dalla tivù qatarina dichiarano che
tale tendenza “Può portare a un vero e
proprio scippo di diritti per l’istruzione, l’assistenza sanitaria, il voto a danno
dei cittadini indiani seguaci dell’Islam”. E c’è chi rammenta come simili
esasperazioni possono riaprire quelle ferite che nel 1947 determinarono il
contrasto politico-religioso con le cosiddette ‘spalle islamiche’: il Pakistan
occidentale e quello orientale, divenuto nel 1971 Bangladesh a seguìto di un ulteriore
passo d’indipendenza. Paesi che hanno 1.3 miliardi (India), 220 (Pakistan) e
168 milioni (Bangladesh) di abitanti… L’agenda suprematista della destra indù
mette in allarme quei musulmani fautori d’un percorso politico legale e
democratico. Costoro sanno che il fanatismo jihadista non aspetta altro per
rilanciare indiscriminati atti di terrore e rinfocolare rancore fra i fedeli
dell’Islam.
Proprio il tema della sicurezza contro il terrorismo ha
rappresentato un punto cardine della campagna elettorale di Modi, con
riferimento all’ultimo attentato suicida attuato in Kashmir che aveva ucciso
quaranta militari indiani. In seconda posizione la promessa di fermare l’onda
di migrazione dal Bangladesh (in maggioranza musulmano) verso lo Stato indiano,
mentre il governo consente l’ingresso di migranti indù violando la Costituzione
secolare della nazione. Nei comizi elettorali lo staff del Bjp definiva
‘termiti’ i cittadini bengalesi, accentuando i toni xenofobi e dalle parole dei
politici gli attivisti indù passavano ai fatti aggredendo cittadini di diversa
fede. Il timore che la schiacciante vittoria alle urne del partito governativo ringagliardisca
ulteriormente la destra razzista che agisce all’interno dell’organizzazione è
reale. In aggiunta si temono mosse legislative, come l’abolizione di quegli
articoli costituzionali che tutelano le minoranze nell’amministrazione
regionale. Scelta che infiammerebbero aree già esplosive come, appunto, il
Kashmir. Taluni commentatori azzardano un paragone con Israele, sostenendo che
le scelte di Modi prendono la china assunta dai sionisti coi palestinesi:
attuare un’apartheid ignorando i diritti dei cittadini e la comunità
internazionale. Eppure, oltre la fede, la destra pro induista sta trovando
sostegno dalle classi più umili, da quei lavoratori poveri che vedono nel
presidente un loro simile capace di raggiungere il vertice sociale. Un concetto
diverso dalla stessa visione induista propensa a una rigidità di casta, che
decreta un ruolo sin dalla nascita per potere divino.
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