Dodici milioni di istanbulioti torneranno alle urne il
23 giugno. Così ha deciso il Consiglio Supremo Elettorale che ha accolto il
ricorso sui voti dubbi inoltrato dal grande sconfitto: l’Akp del presidente
Erdoğan. La metropoli-simbolo turca, strappata al partito di governo dai
repubblicani il cui esponente İmamoğlu ha preceduto di 21.459 voti (seppure
l’agenzia ufficiale Anadolou ne
riferiscw 14.000) l’ex presidente del
Parlamento Yıldırım, ha rappresentato la battuta d’arresto più bruciante della
cosiddetta Alleanza del Popolo (Akp e Mhp). La perdita del primato nella
capitale e in altre grandi città: İzmir, Adana, Antalya, Mardin non ha colpito
la formazione islamista, che governa ininterrottamente il Paese dal 2003, come
il disarcionamento di Istanbul. Sebbene allo spoglio elettorale i due
contendenti siano risultati quasi appaiati, gli attivisti del partito della
Giustizia e Sviluppo non s’aspettavano il sorpasso; il loro Atatürk islamico,
che da lì in qualità di sindaco aveva lanciato la scalata al potere, non
pensava potesse accadere. Dopo aver sedato la rivolta di Gazi Park nel 2013,
sconfitto il tentato golpe nel 2016, dopo aver ripulito la nazione dai
sedicenti nemici gülenisti, incarcerato giornalisti, militanti kurdi e della
sinistra pensava che il Bosforo gli obbedisse come l’Anatolia profonda. Certo
le sue roccaforti l’Akp le conserva: Fatih sulla sponda europea, Üsküdar su
quella asiatica, tanto per citare quartieri simbolo, e raccoglie consensi in molte
altre.
Ma in certi luoghi della vecchia Istanbul che, accanto agli
avvenimenti recenti, trasudano storia - Besiktaş, Şişli - repubblicani hanno
piazzato i loro colpi che hanno portato voti a İmamoğlu, il nuovo sindaco.
Veder perdere il fedelissimo Yıldırım a opera d’un politico sconosciuto,
dev’essere stato un boccone amaro per lo statista che si sente invincibile. Il
fedelissimo è un uomo d’apparato, la carica di primo cittadino sul Corno d’Oro l’avrebbe
ripagato di rinunce e problemi giudiziari. Senza profferir parola aveva accettato
la cancellazione del ruolo che ricopriva: la carica di primo ministro azzerata
dalla riforma costituzionale con cui la Turchia è diventata una Repubblica
presidenziale. Da seguace rigoroso e ligio aveva chinato la testa a ogni
desiderio del ‘sultano’. Dopo averlo accondisceso da ministro dei Trasporti coi
progetti sull’alta velocità e il fantasmagorico Marmaray (il treno sottomarino
che collega la Turchia europea a quella asiatica) aveva subito l’onta delle
accuse di corruzione rivolta ad alcuni esponenti dell’Akp e s’era dimesso.
Venne ricompensato con la leadership del partito, che l’Erdoğan presidente non
poteva più vantare, pur rimanendone il signore indiscusso, e con la carica di
presidente del Meclis. Però la poltrona di sindaco era già parsa stregata per
Yıldırım, ci aveva provato nel 2014 a İzmir e fu sconfitto sempre da un
candidato repubblicano.
Nel marzo scorso a prendere seppure una manciata di
preferenze più di lui è stato Ekrem İmamoğlu, un cinquantenne che sorride molto
e vanta poche cose: un master in gestione in risorse umane e la direzione del
municipio di Beylikdüzü, distretto istanbuliota sul Mar di Marmara neppure così
numeroso (300.000 anime). Ma l’inatteso sorpasso è accaduto. Da quel momento
l’apparato dell’Akp più dello stesso perdente ha pensato di lavare l’onta a
suon di carte bollate. La tesi sostenuta riguardava 40.000 elettori irregolari
che erano stati egualmente ammessi alle urne, ovviamente non ci sono prove che
costoro abbiano sostenuto il candidato repubblicano e scrutatori non
appartenenti all’amministrazione locale. Però sette degli undici membri del
Consiglio Supremo si sono espressi per la ripetizione del voto, mentre voci,
non si sa se pilotate, parlano di 43 addetti ai seggi vicini alla bestia nera
di Erdoğan: l’organizzazione Fetö. Che apparirebbe un’Idra dalle infinite
teste. Il sindaco, che aveva assunto l’incarico il 17 aprile e ora si vede
depennato, sostiene che “Questa decisione
porterà spiacevoli turbative alla nazione”, altri oppositori fanno notare
come il repulisti giudiziario e amministrativo voluto dal presidente contro ‘il
terrorismo ideologico’ sta dando i suoi frutti e mostra organi di controllo
sempre più ossequiosi verso il potere. Un potere di parte non smentito dal
presidente che ha dato il “Benvenuto”
al pronunciamento dei magistrati.
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