martedì 7 maggio 2019

Istanbul rivota


Dodici milioni di istanbulioti torneranno alle urne il 23 giugno. Così ha deciso il Consiglio Supremo Elettorale che ha accolto il ricorso sui voti dubbi inoltrato dal grande sconfitto: l’Akp del presidente Erdoğan. La metropoli-simbolo turca, strappata al partito di governo dai repubblicani il cui esponente İmamoğlu ha preceduto di 21.459 voti (seppure l’agenzia ufficiale Anadolou ne riferiscw 14.000)  l’ex presidente del Parlamento Yıldırım, ha rappresentato la battuta d’arresto più bruciante della cosiddetta Alleanza del Popolo (Akp e Mhp). La perdita del primato nella capitale e in altre grandi città: İzmir, Adana, Antalya, Mardin non ha colpito la formazione islamista, che governa ininterrottamente il Paese dal 2003, come il disarcionamento di Istanbul. Sebbene allo spoglio elettorale i due contendenti siano risultati quasi appaiati, gli attivisti del partito della Giustizia e Sviluppo non s’aspettavano il sorpasso; il loro Atatürk islamico, che da lì in qualità di sindaco aveva lanciato la scalata al potere, non pensava potesse accadere. Dopo aver sedato la rivolta di Gazi Park nel 2013, sconfitto il tentato golpe nel 2016, dopo aver ripulito la nazione dai sedicenti nemici gülenisti, incarcerato giornalisti, militanti kurdi e della sinistra pensava che il Bosforo gli obbedisse come l’Anatolia profonda. Certo le sue roccaforti l’Akp le conserva: Fatih sulla sponda europea, Üsküdar su quella asiatica, tanto per citare quartieri simbolo, e raccoglie consensi in molte altre.
Ma in certi luoghi della vecchia Istanbul che, accanto agli avvenimenti recenti, trasudano storia - Besiktaş, Şişli - repubblicani hanno piazzato i loro colpi che hanno portato voti a İmamoğlu, il nuovo sindaco. Veder perdere il fedelissimo Yıldırım a opera d’un politico sconosciuto, dev’essere stato un boccone amaro per lo statista che si sente invincibile. Il fedelissimo è un uomo d’apparato, la carica di primo cittadino sul Corno d’Oro l’avrebbe ripagato di rinunce e problemi giudiziari. Senza profferir parola aveva accettato la cancellazione del ruolo che ricopriva: la carica di primo ministro azzerata dalla riforma costituzionale con cui la Turchia è diventata una Repubblica presidenziale. Da seguace rigoroso e ligio aveva chinato la testa a ogni desiderio del ‘sultano’. Dopo averlo accondisceso da ministro dei Trasporti coi progetti sull’alta velocità e il fantasmagorico Marmaray (il treno sottomarino che collega la Turchia europea a quella asiatica) aveva subito l’onta delle accuse di corruzione rivolta ad alcuni esponenti dell’Akp e s’era dimesso. Venne ricompensato con la leadership del partito, che l’Erdoğan presidente non poteva più vantare, pur rimanendone il signore indiscusso, e con la carica di presidente del Meclis. Però la poltrona di sindaco era già parsa stregata per Yıldırım, ci aveva provato nel 2014 a İzmir e fu sconfitto sempre da un candidato repubblicano.
Nel marzo scorso a prendere seppure una manciata di preferenze più di lui è stato Ekrem İmamoğlu, un cinquantenne che sorride molto e vanta poche cose: un master in gestione in risorse umane e la direzione del municipio di Beylikdüzü, distretto istanbuliota sul Mar di Marmara neppure così numeroso (300.000 anime). Ma l’inatteso sorpasso è accaduto. Da quel momento l’apparato dell’Akp più dello stesso perdente ha pensato di lavare l’onta a suon di carte bollate. La tesi sostenuta riguardava 40.000 elettori irregolari che erano stati egualmente ammessi alle urne, ovviamente non ci sono prove che costoro abbiano sostenuto il candidato repubblicano e scrutatori non appartenenti all’amministrazione locale. Però sette degli undici membri del Consiglio Supremo si sono espressi per la ripetizione del voto, mentre voci, non si sa se pilotate, parlano di 43 addetti ai seggi vicini alla bestia nera di Erdoğan: l’organizzazione Fetö. Che apparirebbe un’Idra dalle infinite teste. Il sindaco, che aveva assunto l’incarico il 17 aprile e ora si vede depennato, sostiene che “Questa decisione porterà spiacevoli turbative alla nazione”, altri oppositori fanno notare come il repulisti giudiziario e amministrativo voluto dal presidente contro ‘il terrorismo ideologico’ sta dando i suoi frutti e mostra organi di controllo sempre più ossequiosi verso il potere. Un potere di parte non smentito dal presidente che ha dato il “Benvenuto” al pronunciamento dei magistrati.  

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