Le più grandi elezioni del mondo (900 milioni di elettori,
quasi 700 liste, anche se in gran parte ininfluenti, 8000 candidati, un milione di seggi) svelano la scelta del
gigante asiatico - 1,34 miliardi di persone e ulteriore crescita in corso - che
vuol pesare sempre più sulla scena globale. Il presidente uscente Marendra Modi,
pose ieratiche, cuore fanatico e prassi divisiva nonostante tutti i
pronunciamenti, conserva il primato. Il suo partito, il nazionalista hindu,
Bharatiya Janata Party ha conquistato (finora col 60% del voto conteggiato) 350
dei 542 seggi del Parlamento indiano. Il maggior gruppo d’opposizione l’Indian National Congress, guidato dall’ultimo rampollo della famiglia Ghandi, Rahul, s’accaparra una
settantina di deputati. Finisce, dunque,
con una riconferma la lunga maratona elettorale avviata l’11 aprile passando
per sette scadenze di voto nella nazione che è di per sé un continente. Termina
favorevolmente per un uomo nato povero, che piace alle classi più umili. Sin da
quando diventò governatore dello stato Gujarat (uno dei 29 della mega nazione
indiana insieme ad altri sette cosiddetti Territori) questi ceti l’hanno sempre
sostenuto, e la sua ascesa nel 2014 partì proprio dalla conquista di 71 seggi
popolari nell’Uttar Pradesh, l’area indiana che conta 200 milioni di anime. Poiché
il potere attira consensi, nei cinque anni da leader Modi ha incontrato le
simpatie anche di tanti industriali in cerca di buoni affari che, la voglia del
presidente di primeggiare al fianco dei grandi del mondo, ha lusingato non
poco.
La popolarità interna è cresciuta attorno al decisionismo
tanto di moda in salsa globale. Negli ultimi tempi questo decisionismo per
interessi nazionali ha virato più sulla forza economica, compresa quella
militare tenuta in grande considerazione da alcune componenti interne al Bjp. La
crescita economica, anche prima della salita al potere di Modi, rappresentava
il motore e l’orgoglio del secondo gigante asiatico, il confronto diretto e
indiretto con la Cina è inevitabile, e seppure ha visto quest’ultima prevalere
su scala globale gli indiani non hanno perso colpi. La loro crescita risulta
più lenta rispetto ai concorrenti, ma è costante e prosegue, mentre i cinesi
hanno subìto rallentamenti. Ma al di là della sperequazione sui tassi di
crescita, che Modi aveva promesso più elevati e gli oppositori gli rinfacciano,
diversi analisti hanno evidenziato l’aumento della disoccupazione sospinta sia
dall’incremento demografico, sia dalla tipologia dei lavori tuttora maggiormente
praticati che riguardano il settore agricolo e quello informalo con un’ampia diffusione in ambito
domestico. Proprio questi lavoratori, sfruttati e sottopagati, costituiscono
l’anello debole d’una società che ha abolito le antistoriche caste, però per i contrasti
religiosi (con le minoranze islamiche e cristiane) e anche all’interno della
stessa fede hindu di cui il partito del presidente si fa scudo, crea divisioni
ed emarginazioni.
Eppure tutti impazziscono per Modi. Questo dicono i dati dello
spoglio elettorale favorevolissimo per l’uomo autoritario che cerca capri
espiatori quando sottolinea che l’India è hindu, il Kashmir è un covo di
terroristi, i pakistani sono nemici da combattere. Il tema della sicurezza
volutamente ha preso il centro nelle ultime settimane di campagna elettorale.
Modi ha parlato molto meno del desiderio di grandezza economica perché l’argomento
è lacunoso, mente la difesa nazionale gli ha offerto consensi trasversali,
forse anche sul terreno religioso (voci raccolte da Reuters riferiscono di consensi addirittura fra i musulmani). Certo
il rampollo Ghandi - quarantottenne e quarta generazione del clan, nipote di
Nehru, il fondatore dell’India moderna, e figlio di Indira - non era
all’altezza della sfida. S’è gettato tardi in politica, in una fase in cui l’Indian
National Congress era travolto da scandali di corruzione. Gli apparati del
partito hanno pensato che i recenti insuccessi di Modi nelle amministrative di
tre Stati chiave potessero servire a un rilancio dell’Inc, ma non è stato così.
Hanno commesso l’errore di affidarsi a un elemento scialbo che poco o nulla
poteva contro l’oratoria infuocata d’un avversario retorico. Il nome e il
casato non sono serviti in un’India tradizionalista sì, ma che non appare nostalgica.
Un’India pretenziosa e muscolare per ora invaghita dell’uomo duro.
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