Il presidenzialismo assolutista studiato, cercato,
ottenuto da Recep Erdoğan con l’ostinazione e il trasformismo con cui ha
scioccato il mondo, mette ai suoi piedi tutti i settori del Paese. In questi
giorni in cui si prepara un decreto di uscita dall’emergenza post golpe
(rinnovata per sette volte nel corso di due anni), ne giungono altri riguardanti
gangli economico-finanziari, istituzioni militari e culturali, tutti posti
sotto strettissima ‘osservazione’. Vengono addirittura sciolti veri pilastri
del laicismo culturale kemalista come l’Opera e i Balletti di Stato, il Teatro
di Stato; veranno sostituiti da nuove entità le cui nomine di vertice spettano
alla presidenza, non di particolari enti, ovviamente della Repubblica turca. Lo
stesso Consiglio Superiore per la vigilanza, che aveva competenze ispettive su
istituzioni pubbliche e private, eccezion fatta che per gli ambiti militari e
giudiziari, subirà trasformazioni. I controlli s’allargheranno alle stesse istituzioni
militari, al di là del rango fino alle alte gerarchie.
Scuole delle Forze armate, la Fondazione dell’apparato della
sicurezza, le industrie che si occupano della difesa saranno oggetto delle
verifiche del nuovo Consiglio. Il ministero delle Finanze avrà occhio e mani su
Banca Centrale, Ziraat Bank e Halkbank, così come una serie di strutture
(Agenzia di Supervisione e Regolamento Bancario e simili) verranno gestite dal
ministro competente. Un tempo i ministeri coinvolti erano più d’uno. Un
controllo ferreo più che dello Stato, del governo e soprattutto del sistema
presidenzialista che può collocare uomini di propria totale fiducia nei ruoli
chiave. Il settore dell’educazione, terreno in cui il gülenismo del movimento
Hizmet aveva creato una rete fittissima di presenze e relazioni fra i suoi adepti,
dopo lo stravolgimento operato con migliaia di arresti e decine di migliaia di rimozioni
e dimissioni forzate, è in piena ristrutturazione. Le università vedranno
collocati ai vertici rettori selezionatissimi, non tanto sul fronte delle
competenze, quanto su quello delle obbedienze. Sarà l’occhio del presidente a
scegliere i dirigenti degli atenei, per una certezza di omologazione al libero
pensiero della nazione turca di modello erdoğaniano.
Un sistema al momento assolutamente vincente, e non solo
elettoralmente. La forza del leader islamico che si fa nazione sta nella rete
di alleanze interne e internazionali. Quelle globali lo hanno riposizionato,
dopo la crisi di tre anni fa, nell’aggrovigliato scacchiere mediorientale. Il
rapporto cordiale con l’omologo, anche in capo populistico-autocratico,
Vladimir Putin, attualmente lo pone in una posizione di forza davanti a Trump
medesimo. Che deve sciogliere il nodo delle forniture militari difensive
previste dalla Nato (missili Patriot), aggirato dall’accordo per l’acquisizione
del sistema russo S-400. Da gran giocatore d’azzardo qual è, per un
ripensamento pare che Erdoğan chieda in cambio al presidente Usa la testa (nel
senso di estradizione) di Fethullah Gülen. Se il baratto dovesse riuscire - sarà
difficile, ma la folle idea vellica la vanità geopolitica del sultano - lui porterebbe
al cospetto del popolo turco l’attentore all’unità patria. Un colpo di teatro
opposto al colpo di stato. In questo il presidentissimo si supera, quasi
giustificando l’ingerenza in materia teatrale.
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