Crepare sul tetto d’una costruzione abbandonata, perché
sottoposta come tutte le case di Gaza, al fuoco di artiglieria, caccia e droni,
è stato per Amir e Luay, trentuno anni in due, un passo scandaloso oltre che
letale. Perché stare su un tetto sotto le bombe che arrivano da ogni parte?
Perché e come non starci, in quell’area stipata di persone e di pericolo di
morte che è la Striscia di Gaza. Dove l’aggressione è strisciante, s’infiamma e
prende tregua per poi riversarsi ancora più violenta come un uragano in minuti
lunghi come giorni. Lì dove l’esercito di Tel Aviv da quarantott’ore ha ripreso
a bombardare fitto come non faceva da quattro anni. L’alibi è ristabilire la
sicurezza degli attigui villaggi israeliani messa in forse dell’intensificato
lancio di razzi della Jihad islamica che condivide con Hamas le azioni militari
sui 40 km di terra, assediati dal cielo, dal mare e dai confini. La frontiera con
Israele, in subbuglio dal 30 marzo per le manifestazioni di protesta denominate
“Marcia per il ritorno”, s’è trasformata nell’ennesimo cimitero e ha visto
cadere, settimana dopo settimana, centotrentotto palestinesi. Tanti
giovanissimi, come Amir e Luay, e giornalisti e personale paramedico presi a
fucilate dai cecchini con la licenza di uccidere ribadita più volte da
Netanyahu e Lieberman.
I governi del mondo non si pronunciano sulla carneficina, le mobilitazioni
degli attivisti, di associazioni per i diritti e umanitarie sono tante, però
non bastano e soprattutto non fermano ciò che la geopolitica ha trasformato in cinismo
criminale, in quella e altre aree mediorientali. I giorni sulla Striscia sono
sospesi anche quando il sole rallegra e riscalda la vita, tutto può sfuggire di
mano in un attimo. C’è la guerra, palese o strisciante, ma come tener fermi, a
riparo centinaia di migliaia di ragazzi? Non puoi proteggere neppure i bambini
in edifici attrezzati, i pochi bunker vengono spiati coi droni e spianati coi
razzi potentissimi degli amici americani. Tutto azzerato d’intorno, perché
secondo la democrazia israeliana in quello spazio ridotto in lager l’insicurezza
degli assediati deve procedere con la loro umiliazione e perdita di dignità.
Disprezzo per il popolo considerato nemico, nessuna pietà neppure per due ragazzi
piazzati su un tetto, forse a giocare, forse ad allontanare lo sguardo dalle
chiusure d’un orizzonte che la comunità internazionale tiene serrato,
sostenendo che Gaza può restare bloccata nel destino che altri le decidono.
Amir e Luay alzavano gli occhi dalla polvere per sperare, probabilmente sollevavano
la testa, imitando le decine di migliaia di fratelli e sorelle che da oltre
cento giorni vanno e vengono da quelle barriere, da quel filo spinato della
vergogna che Israele irrora di sangue innocente.
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