Tutti pazzi per Erdoğan. Ennesimo bagno di folla oceanico, esso
stesso coreografico per il messaggio di potenza che il presidente uscente, e
prossimamente regnante, vuole offrire a sostenitori e oppositori. I candidati
di quest’ultimi (il repubblicano İnce, 54 anni, il kurdo incarcerato Demirtaş,
45, la ‘lupa grigia’ che ha rinnegato Behçeli Akşener, 61) pensano di sottrargli
talmente tanti voti da non consentirgli d’essere eletto al primo turno e di
aver bisogno del ballottaggio. Ma il navigato uomo forte, ormai apertamente
definito sultano dalla folla plaudente, con un’enorme partecipazione femminile,
già da settimane è corso ai ripari andando a cercare il voto dei turchi
d’Europa. E poiché Merkel, Kurz e Rutte, i premier dei Paesi dove i turchi sono
tre milioni gli hanno vietato comizi di piazza, il presidente che vuole
oscurare Atatürk, li ha incontrati in un luogo che rievoca pienamente l’epoca
ottomana, seppure con lo spettro della pistola fumante di Princip, prodromo del
suo declino.
Il mese scorso Sarajevo ha raccolto un mega raduno di sostenitori
di Erdoğan provenienti da Germania, Austria e Olanda, anch’essi completamente
invaghiti del suo pugno di ferro. E
ieri nella Istanbul che lo lanciò in politica prima come sindaco quindi come
premier, e che lui ripaga con una trasformazione urbana in chiave tecnologica e
d’impronta islamista, erano decine di migliaia le mani rivolte al cielo nel
segno delle quattro dita, il simbolo dell’Islam politico che dal Maghreb al
Mashreq affratella e seduce. Ma più che al 24 giugno o alla tornata seguente lo
sguardo dei politologi è diretto alla fase successiva che governo e presidente,
chiunque dovessero essere, dovranno affrontare in virtù della grande incognita
che pesa sulla sfida: i problemi economici della nazione. La Turchia già da
mesi ha dovuto fare i conti con la caduta del 20% del valore della sua moneta
sul dollaro. Sulle incertezze economiche si sta giocando un pezzo della
campagna elettorale coi partiti dell’opposizione critici su questo tema, oltre
ai richiami rivolti alle questioni repressive, di mancanza di libertà di stampa
e finanche d’espressione.
A difesa l’establishment utilizza lo stesso tema dell’incertezza
e lo rovescia a suo favore, richiamando una politica di stabilità contro
l’avventura di cambiamenti che introdurrebbe caos, e dunque, minori
investimenti. Sempre utilizzato lo spettro del complotto guidato dai gülenisti,
con l’ausilio di non meglio identificati ‘poteri stranieri’ che tramano contro
la nazione. Il partito di maggioranza Akp ed Erdoğan nei comizi vantano tutta
la strada percorsa dal 2002 per risollevare un’economia in crisi e combattere
la disoccupazione attraverso investimenti interni ed esteri che hanno prodotto
lavoro. Ribadiscono che, nonostante gli scossoni politici e geopolitici,
l’economia turca ha mantenuto uno standard costante. Lo scorso anno la crescita,
stabilita al 7.4%, è risultata seconda solo a quella irlandese fra i 37 Paesi
membri per l’Organizzazione per lo sviluppo economico. A loro dire i dati del
prodotto interno lordo vedono una diminuzione tutto sommato contenuta fra gli
863 miliardi di dollari del 2017 e gli attuali 851 miliardi.
Da parte sua il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita
dell’economia turca del 4.3% nell’anno in corso, proiezioni ribadite anche nel
2019. Per contro i critici sottolineano che tali cifre si tengono a galla grazie
a sgravi fiscali e all’introduzione d’incentivi, principalmente nel solito
settore delle costruzioni, attivo ininterrottamente da circa un quindicennio. Tutto
ciò introduce una politica dei prestiti che sviluppa inflazione (attualmente
salita all’11.9%, quota più alta da 14 anni a questa parte). E c’è chi
sottolinea come gli stessi prestiti dall’estero stiano diminuendo, nel 2017 si
registrano 10.8 miliardi, la quota più bassa degli ultimi otto anni. Sebbene
nel confronto fra le parti non manchino riferimenti a temi politici come
repressione, arresti, epurazioni e stretta securitaria molto ruota intorno alle
menzionate questioni economiche che potrebbero rappresentare la trappola futura
per il regime. Ma ieri, nella parata che s’approssima al gran finale, la marea
erdoğaniana pareva non curarsene e il sultano se ne beava, convinto di
ulteriori investiture di lunga data.
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