Allora si può fare,
basta volerlo. Come l’amichevole di calcio cancellata fra Israele e Argentina,
anche le tre tappe del Giro d’Italia disputate nelle aree violate della terra
palestinese si sarebbero potute evitare. La disdetta dell’incontro nel Teddy Stadium
di Gerusalemme, costruito nei luoghi dove sorgeva un villaggio palestinese che
nel 1948 subì, come altri, la pulizia etnica studiata e praticata dalla Stato
sionista, rappresenta un caso che già la coppia razzista Netanyahu-Lieberman
teme. L’unica misura che la comunità internazionale dovrebbe lanciare per
indurre Israele a meditare sulla sua politica dell’assassinio mascherata da
difesa: l’isolamento. Chi teorizza e pratica l’apartheid non dovrebbe sentirsi
straniato da simili provvedimenti che, invece, possono rappresentare un
concreto monito verso una collettività orientata alla propria affermazione tramite
l’altrui oppressione.
La sortita della
nazionale argentina, e della stessa rappresentanza politica del Paese sudamericano,
non è delle più lineari. Del resto il presidente Macri viene annoverato fra i
sodali di Israele, qualunque esso sia e qualsiasi cosa faccia. Un po’ come
accade ai tanti Paesi sostenitori oppure omertosi verso la linea del crimine
che la classe politica di Tel Aviv, sionista o ultra ortodossa, laburista o del
Likud, ha praticato e continua a praticare da decenni. Sembra che in questa
circostanza il ripensamento annoveri ragioni di sicurezza, timori sulla vita
della perla del calcio latino, il fuoriclasse iper premiato Messi. Campione a
cui aveva scritto un’accorato appello Mohammed Khalil Obeid, promessa d’un calcio
certamente non stellare, indubbiamente povero e soprattutto oppresso. Khalil
chiedeva al capitano biancoceleste, tanto popolare nella Striscia di Gaza di “boicottare l’incontro con Israele che occupa
le nostre terre”.
Non sappiamo se quelle
righe siano giunte a Messi, se le abbia lette, se ha meditato sul messaggio e
ne è rimasto colpito. Colpito da due fulmini è stato proprio Khalid, che senza
risparmiarsi offriva il suo corpo atletico alla protesta della ‘Marcia per il
ritorno’ avviata il 30 marzo scorso sul confine della Striscia. Uno dei tanti killer
schierati su quel confine sotto la Stella di David, che hanno fatto finire 123
vittime, a Mohammed ha frantumato entrambe le ginocchia e una carriera, che
magari non l’avrebbe lanciato nell’iperuranio come Messi, ma gli offriva la gioia
di scattare e dribblare i quotidiani foschi pensieri delle violenze subìte
assieme alla sua gente. Sarebbe bastato questo trattamento rivolto a Khalid e
alle proteste palestinesi a fermare l’amichevole del calcio e le tappe del Giro
ciclistico, visto che Israele si macchia di crimini di guerra. E finché li
perpetua non merita sport, turismo, scambi commerciali, relazioni con Paesi che
difendono i diritti dei popoli. Il boicottaggio di Israele è una strada per la
difesa dei palestinesi.
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