C’è un nuovo giornalista
dell’emittente qatarina Al Jazeera
che provocherebbe sedizione e caos in Egitto, e per questo viene arrestato
nella sua abitazione di Giza. Si tratta di Mahmoud Hussein, nativo nel piccolo
e potentissimo emirato del Golfo e presente in più occasioni in qualità di
reporter in terra egiziana. Attualmente Hussein ricopre funzioni di regista e produttore.
Anche lui è accusato d’essere un portavoce dei fuorilegge della Fratellanza
Musulmana, com’era accaduto a fine 2013 ad altri reporter della testata: l’australiano
Peter Greste, l’egiziano-canadese Mohamed Fahmy, l’egiziano Baher Mohamed.
Costoro trascorsero più di 400 giorni in galera, subirono processi, vennero infine
graziati da Sisi e rilasciati nel settembre 2015. Peggio è andata ad altri due
cronisti della testata, Alaa Omar Sablan e Mohammed Helal, condannati in
contumacia alla pena capitale nel maggio scorso, come peraltro diversi membri
della Brotherhood. La televisione di Doha denuncia una sorta di fabbrica di
accuse in questo e nei precedenti casi, affermando che l’uomo non stava svolgendo
alcun lavoro, ma trascorreva un periodo di ferie. Al di là di situazioni
personali, che possono in qualche modo “risolversi” con abiure, allontanamenti,
pressioni e autocompressioni, il clima per l’informazione continua a rimanere
oltre qualsiasi limite di libertà e democrazia. E sopraggiungono nuovi vincoli.
E’ di questi giorni la creazione tramite legge parlamentare d’un Consiglio per
l’amministrazione dei media che può revocare licenze e sospendere pubblicazioni
e trasmissioni radiotelevisive. I membri sono stati scelti, ovviamente, dal
generale-presidente. Secondo una dichiarazione del responsabile del sindacato
(normalizzato) della stampa egiziana il Consiglio dovrebbe occuparsi più di
questioni amministrative che di censura. Però dubbi e contrarietà restano, in
primo luogo fra le poche voce libere, anche dalla galera, rimaste nel Paese che
avevano criticato l’elaborazione dell’ennesimo ostacolo posto all’informazione.
L’ingerenza dell’Esecutivo nella normale attività di comunicazione è praticamente
totale. Restano reclusi venticinque volti noti del giornalismo, mentre il
numero di free lance e blogger tuttora imprigionati è imprecisato.
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