Sembra non esserci tregua al terrore. La morte
arriva anche nella notte di Capodanno, ancora a Istanbul, stavolta vestita da
Babbo Natale. Portata da un killer nel night club Reina del quartiere di
Besiktaş, dov’erano stipate almeno 500 persone. L’attentatore uccide un
poliziotto e un addetto alla vigilanza all’ingresso del locale, penetra all’interno
e inizia a sparare come accadde al Bataclan. Il pubblico, prevalentemente
giovanile, che festeggia l’inizio del nuovo anno in uno spazio ritenuto
protetto, è nel panico. Tutti si gettano a terra, chi è vicino a una finestra
fugge all’esterno tuffandosi addirittura nelle gelide acque del Bosforo. Pur di
non morire. Perché nella sparatoria alcuni corpi iniziano a cadere. Quanti?
Due, si dice inizialmente e molti feriti. Ma dopo un paio d’ore, con l’ipotesi
d’un blitz delle forze di sicurezza, un responsabile della polizia riferisce
alla Cnn turca la drammatica cifra di
trentacinque vittime e una cinquantina di feriti. Alle 2:30, quando scriviamo,
non ci sono certezze, perché intanto è sopraggiunto un black out di notizie e
gli stessi media turchi online non vengono più aggiornati. Il luogo
dell’assalto armato è centrale, in quell’area di Besiktaş dove venti giorni fa
era esplosa un’autobomba che aveva mietuto 38 vittime, molte delle quali agenti
di polizia in servizio nei pressi dello stadio per una partita di calcio che s’era
appena conclusa.
Quell’esplosione di un’autobomba venne rivendicata dalla
frazione dissidente della guerriglia kurda denominata ‘Falchi della Libertà’. Invece
quest’agguato in stile Isis (così simile all’attacco parigino del novembre
2015) non è stato ancora rivendicato, cosa che potrebbe accadere nelle prossime
ore. Di fatto la sicurezza nazionale è stata violata per l’ennesima volta,
stanotte sembra che Istanbul fosse controllata da 17.000 poliziotti. E mentre
alcune telecamere fisse mostrano lo “spogliarello” dell’attentare, che dopo la
sparatoria cerca di dileguarsi in abiti normali, il silenzio stampa turco non
offre notizie sull’efficacia del blitz poliziesco. Sull’insicura sicurezza
interna, uno degli intricatissimi nodi che Erdoğan ha di fronte, tornato
alla ribalta in occasione dell’incredibile omicidio in diretta
dell’ambasciatore russo ad Ankara, il presidente si gioca il desiderato
presidenzialismo. Taluni rumors lasciano trasparire una crepa in seno al
partito di governo, proprio ora che lo staff del sultano ha trovato una sponda
vitale nel consenso del partito nazionalista. Il voto parlamentare sul tema e
l’eventuale referendum confermativo previsto per la primavera dovrebbero
svolgersi in un clima di stato d’emergenza protratto nel tempo. Ma i vari
nemici additati: i traditori gülenisti, i kurdi della guerriglia e i deputati
Hdp rimasti in Parlamento, l’Isis, potrebbero non bastare a saldare le fila che
consegnano a Erdoğan la nazione, concentrando nelle sue mani ogni potere:
politico, militare e giudiziario. Intanto il Paese ha paura.
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