Tornano i corpi lacerati dall’esplosivo nella
Turchia che Erdoğan fa definitivamente sua con la riforma costituzionale votata
a breve dal Parlamento. Nella serata post calcistica, che aveva visto il
successo della locale formazione del Beşiktaş sul Bursaspor, in un’area esterna
al Vodafone Arena che dista poco più di mezzo chilometro dal Gezi park, ci sono
state due terribili esplosioni. Una ha smembrato numerosi corpi di poliziotti:
venti finora le vittime accertate, altre quaranta persone risultano gravemente
ferite. L’intera zona è stata immediatamente circondata da altri agenti in
servizio di ordine pubblico e da rinforzi accorsi in massa. Non sono mancate
manifestazioni di paura ed esasperazione fra le stesse forze dell’ordine. Dal
giugno scorso non s’erano più verificati attentati nella metropoli sul Bosforo che, fra il
2015 e 2016, ne ha subìti d’ogni genere. Autori accertati per diretta
rivendicazione i miliziani dell’Isis e guerriglieri kurdi del gruppo Kurdistan
Freedom Falcons, una componente che una dozzina di anni fa s’è distaccata dal
Pkk. In precedenti esplosioni avvenute sia con autobomba, sia con ordigni
celati e kamikaze erano stati colpiti poliziotti oppure militanti del Partito democratico
dei popoli e attivisti dell’opposizione anti erdoğaniana. Ciascuno sceglieva i
suoi obiettivi. Proprio i cosiddetti Falconi della libertà avevano rivendicato
l’agguato suicida che nel febbraio scorso aveva ucciso 28 poliziotti in pieno
centro di Ankara, accusando il governo turco di dirottare armi ricevute dagli
Stati Uniti ai miliziani dello Stato Islamico.
Mentre a giugno s’era verificato l’assalto
all’aeroporto Atatürk della città sul Bosforo costato la vita a 47 persone
presenti nell’area delle partenze. Un’azione condotta con esplosioni suicide di
kamikaze e colpi d’arma da fuoco, attribuita all’Isis ma mai apertamente
rivendicata. Ancora più sanguinoso (57 morti) era risultato il massacro
compiuto ad agosto a Gaziantep, località abitata in buona parte da kurdi, nel
corso d’una festa di matrimonio. Anche in quel caso la mano attentatrice sarebbe
stata quella del fondamentalismo islamista che continua a punire l’impegno dei
guerriglieri kurdi nella lotta contro il Daesh. Dal tentato golpe di luglio l’attenzione
del governo turco è, comunque, rivolta alla repressione del gruppo accusato del
complotto e del colpo di mano: i seguaci di Fethullah Gülen. Contro costoro, contro
i sospettati e anche contro semplici avversari d’ogni tendenza politica si sono
scatenati persecuzioni, radiazioni e arresti. L’idea che il Paese sia
sottoposto a complotti stranieri è diffusissima, com’è diffusa la paura di
attentati che oggettivamente avvengono e non riescono a essere previsti
dall’Intelligence interna. Stavolta gli Stati Uniti hanno immediatamente
offerto solidarietà al governo Yıldırım che a breve perderà ogni potere. Appena
si concluderà l’iter parlamentare la figura del premier diventerà superflua:
ogni autorità passerà nelle mani del presidente, compreso quella esecutiva. Il
presidente potrà, inoltre, sciogliere il Parlamento. Se il voto finale, ora che
il quorum di maggioranza è assicurato dall’appoggio del partito nazionalista, giungerà
a breve, a primavera verrà indetto il referendum confermativo. Così Erdoğan
potrà coronare il suo patriarcato, oscurando quello originario di Mustafa Kemal.
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