sabato 10 dicembre 2016

Turchia, nuove bombe mentre incede il presidenzialismo

Tornano i corpi lacerati dall’esplosivo nella Turchia che Erdoğan fa definitivamente sua con la riforma costituzionale votata a breve dal Parlamento. Nella serata post calcistica, che aveva visto il successo della locale formazione del Beşiktaş sul Bursaspor, in un’area esterna al Vodafone Arena che dista poco più di mezzo chilometro dal Gezi park, ci sono state due terribili esplosioni. Una ha smembrato numerosi corpi di poliziotti: venti finora le vittime accertate, altre quaranta persone risultano gravemente ferite. L’intera zona è stata immediatamente circondata da altri agenti in servizio di ordine pubblico e da rinforzi accorsi in massa. Non sono mancate manifestazioni di paura ed esasperazione fra le stesse forze dell’ordine. Dal giugno scorso non s’erano più verificati attentati nella metropoli sul Bosforo che, fra il 2015 e 2016, ne ha subìti d’ogni genere. Autori accertati per diretta rivendicazione i miliziani dell’Isis e guerriglieri kurdi del gruppo Kurdistan Freedom Falcons, una componente che una dozzina di anni fa s’è distaccata dal Pkk. In precedenti esplosioni avvenute sia con autobomba, sia con ordigni celati e kamikaze erano stati colpiti poliziotti oppure militanti del Partito democratico dei popoli e attivisti dell’opposizione anti erdoğaniana. Ciascuno sceglieva i suoi obiettivi. Proprio i cosiddetti Falconi della libertà avevano rivendicato l’agguato suicida che nel febbraio scorso aveva ucciso 28 poliziotti in pieno centro di Ankara, accusando il governo turco di dirottare armi ricevute dagli Stati Uniti ai miliziani dello Stato Islamico.

Mentre a giugno s’era verificato l’assalto all’aeroporto Atatürk della città sul Bosforo costato la vita a 47 persone presenti nell’area delle partenze. Un’azione condotta con esplosioni suicide di kamikaze e colpi d’arma da fuoco, attribuita all’Isis ma mai apertamente rivendicata. Ancora più sanguinoso (57 morti) era risultato il massacro compiuto ad agosto a Gaziantep, località abitata in buona parte da kurdi, nel corso d’una festa di matrimonio. Anche in quel caso la mano attentatrice sarebbe stata quella del fondamentalismo islamista che continua a punire l’impegno dei guerriglieri kurdi nella lotta contro il Daesh. Dal tentato golpe di luglio l’attenzione del governo turco è, comunque, rivolta alla repressione del gruppo accusato del complotto e del colpo di mano: i seguaci di Fethullah Gülen. Contro costoro, contro i sospettati e anche contro semplici avversari d’ogni tendenza politica si sono scatenati persecuzioni, radiazioni e arresti. L’idea che il Paese sia sottoposto a complotti stranieri è diffusissima, com’è diffusa la paura di attentati che oggettivamente avvengono e non riescono a essere previsti dall’Intelligence interna. Stavolta gli Stati Uniti hanno immediatamente offerto solidarietà al governo Yıldırım che a breve perderà ogni potere. Appena si concluderà l’iter parlamentare la figura del premier diventerà superflua: ogni autorità passerà nelle mani del presidente, compreso quella esecutiva. Il presidente potrà, inoltre, sciogliere il Parlamento. Se il voto finale, ora che il quorum di maggioranza è assicurato dall’appoggio del partito nazionalista, giungerà a breve, a primavera verrà indetto il referendum confermativo. Così Erdoğan potrà coronare il suo patriarcato, oscurando quello originario  di Mustafa Kemal.

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