Se usciranno, ma non è affatto scontato, sarà per
la decisione dell’emittente televisiva qatarina di voler chiudere Mubasher Masr Channel più che per un
gesto di clemenza. Quel canale di Al Jazeera è un coltello nel fianco della
casta militare del Cairo e risulta indigesto anche a poliziotti e magistrati.
Per i servizi trasmessi i giornalisti australiano Peter Greste, egitto-canadese
Mohamed Fahmy ed egiziano Baher Mohamed sono stati condannati chi a sette, chi
a dieci anni, inanellando finora 371 giorni di galera. Motivi: concorso in
terrorismo, attentato alla sicurezza nazionale e diffusione d’informazioni
false, accuse respinte dai tre che sostengono d’aver solo svolto il proprio lavoro.
Fra cui interviste a taluni leader della Fratellanza Musulmana poi arrestati (Mohammed
Badie) che non rappresentavano certo un’adesione alla politica della
Confraternita come sostengono i pm. Eppure da oltre un anno l’aria di
restaurazione, che aveva rovesciato il presidente Mursi e represso le proteste
islamiche, non va per il sottile. Dopo i militanti della Brotherhood sono
finiti dentro giornalisti, blogger, agitatori di Tahrir, oppositori di varie
sponde. Rispetto alla massa degli attivisti incarcerati con numeri che oscillano
fino alle 12.000 unità (il governo rigetta queste cifre ma non ne fornisce
altre, tanto che da tempo si parla di cittadini desaparecidos), per i tre
cronisti il tam-tam di sostegno è stato battente.
Da quello della potente tivù di Doha, a
interventi di Amnesty International, interrogazioni di parlamentari europei e
canadesi, però la situazione generale è rimasta ostile. La rinuncia a “mettere il naso negli affari egiziani per
ordire complotti”, che è l’accusa rivolta ai reportages di Al Jazeera, può
distendere i rapporti fra Egitto e Qatar e ora i giudici hanno prospettato una
revisione del processo. Anche per casi politici alla ricerca della piena
legittimazione internazionale, come quello del presidente-generale Al Sisi, il
corto circuito che si crea coi lavoratori della comunicazione e della documentazione
è crescente. Un decreto emanato in novembre che può applicarsi alla situazione
dei tre, ovviamente se un nuovo processo ridimensionerà le accuse, può
prevedere l’allontanamento di cittadini stranieri che verrebbero espulsi. Non
se ne avvantaggerebbe il cronista egiziano Mohamed. Negli sviluppi aperti la direzione
di Al Jazeera ha dichiarato che le autorità del Cairo “Possono scegliere di continuare a mostrare al mondo il proprio volto
peggiore o liberare rapidamente i tre”. Una stoccata che non risulterà
gradita all’orgoglio del presidente, ma con cui lo staff televisivo qatarino
cerca di giustificare la sostanziale rinuncia al principio dell’informazione su
cui ha costruito il proprio successo. La partita sui tre è aperta e per nulla scontata.
Comunque c’è chi sta molto peggio: per i free lance senza tutele e gli
attivisti dell’opposizione islamica e laica la chiave delle celle è stata
gettata.
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