Accanto alla marcia repubblicana di Parigi che
va in mondovisione, l’area dell’Islam sunnita s’interroga su se stessa. Personalità
religiose, intellettuali e politologi musulmani discutono sui pericoli e danni del
fondamentalismo. Avevano iniziato a farlo già un anno fa in Kuwait a un summit
dei Paesi arabi che si ripeterà a marzo. Il discorso è proseguito nella
prestigiosa Bibliotheca Alexandrina dell’omonima città egiziana. Un confronto
programmato che i tragici eventi parigini riportano all’ordine del giorno come
un nodo improcrastinabile con cui l’islamismo mondiale (religioso, politico, culturale,
sociale) deve misurarsi. Sia per non perdere la partita contro l’esplicito
disegno del “Califfato” qaedista o al-baghdadiano, sia per non trovarsi oggetto
di attacchi sempre più taglienti dei pensatori occidentali sostenitori della
chiusura nel proprio mondo fino a giustificare le scelte più xenofobe che da Le
Pen giungono sino al Bachmann di Pegida. “Affrontare
l’estremismo religioso è uno dei maggiori problemi che il nostro ambiente ha
davanti. L’estremismo è stato radicato a lungo nelle nostre società” ha
esordito il segretario della Lega Araba Nabil Al-Araby avviando l’assise.
L’analista Amr Al-Choubaky, che lavora per il
Centro Studi di Politica e Strategia Al-Ahram, dice che “è falso sostenere che in Egitto il terrorismo stia ampliando il
proprio seguito perché l’esercito è prossimo alle autorità statali. I gruppi armati
hanno come obiettivo indifferentemente il personale civile e militare. Essi divorano,
uccidono attaccano innocenti. Quando questi nuclei crescono vuol dire che
esiste un ambiente sociale, culturale, economico che conduce a un tale sviluppo.
Dobbiamo non solo mostrare come quell’ideologia s’oppone alla vera fede religiosa, ma anche rivolgere argomenti politici
che contrastino il magnetismo fanatico sui giovani”. Non un imam bensì una
voce fuori dal coro musulmano, Gregorio III, patriarca della Chiesa cattolica
greca presente al forum, ricorda il tema del conflitto arabo-israeliano quale
alimentatore costante di azioni rivolte alla violenza, anche perché comporta
l’allontanamento forzato da un Medio Oriente lacerato e insanguinato di fedeli
cristiani.
Negli interventi c’è la consapevolezza che la
stessa interpretazione del concetto di jihad, l’erronea concezione sul ruolo
della donna siano temi importantissimi da chiarire nei gangli più profondi di
comunità che in molti casi vivono contraddizioni con l’istruzione, non solo
religiosa ma primaria. E dove questa
giunge, la manipolazione che si può fare dello stesso testo coranico, a opera
di predicatori e madrase, rappresenta un’ulteriore criticità a favore dei
sostenitori d’una guerra di civiltà a senso unico.
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