Ascoltate Paolo Scaroni, attuale presidente dell’Associazione calcistica Milan, una delle società blasonate della serie A d’Italia (19 scudetti, 7 Champions League e un’altra quarantina di coppe nazionali e intercontinentali) e capirete perché lo sport più seguito e amato del mondo è ostaggio di quelli come lui. Il suo pedigree ne dipinge le doti manageriali all’italiana. Strettamente legato alla politica, e veleggiando lui per gli ottanta si tratta di politica della “Prima Repubblica”, vanta parentele d’area craxiana con Maggie Boniver; amicizie a tre punte: a destra il consigliere economico di An Massimo Pini, al centro il faccendiere andreottiano Luigi Bisignani, a sinistra (si fa per dire) l’ex ministro Gianni De Michelis, legami solidi, solidissimi grazie ai quali passa dai Master alla Columbia University che l’accreditano quale manager all’americana, alla salsa dirigenziale italiana condita in Enel e poi in Eni. Incarichi che nel tempo gli procurano un po’ di grattacapi con inchieste internazionali (Eni/Saipem-Algeria, Eni/Shell-Nigeria) tutte scavalcate con un’assoluzione fra Appello e Cassazione. L’unica macchia è di vecchia data, ancora “Prima Repubblica” e concerne, guarda un po’, le indagini della ciclopica “Mani Pulite” del pool milanese (Borrelli, Di Pietro, Colombo, D’Ambrosio, Davigo, Greco, Boccassini, Spataro che è come dire: Cudicini, Anquilletti, Schnellinger, Malatrasi, Rosato, Trapattoni, Rivera, Prati… Olè). Con quei campioni, di magistratura, Scaroni incappò in potenziali condanne per tangenti offerte al Partito Socialista, che lui dribblava con un patteggiamento. Trent’anni dopo confesserà che sì, aveva ‘donato’ denaro ai politici. Questo il passato prossimo e remoto. Nel presente il supermanager prestato al calcio milanese, in maniera apparentemente più disinteressata di quel che fecero Berlusconi e Galliani, risponde così nell’odierna intervista de La Repubblica, a corredo della decisione presa a nottefonda dalla Giunta comunale, di cedere la ‘Scala del calcio’ ai club cittadini di Inter e Milan che demoliranno quel monumento per costruire un nuovo stadio. “San Siro è vecchio, ma ha una caratteristica fondamentale, si gusta benissimo il calcio. Nel nuovo stadio gli spettatori saranno più vicini al campo e lo sviluppo ancora più verticale”. Più verticale significa più alto? Azzarda l’intervistatore e poi Chissà chi abita lì… “Gli abitanti possono stare tranquilli perché lo stadio partirà da sotto e pur sviluppandosi in altezza sarà meno impattante”. Due assoluti nonsense, diciamo noi. Se si sta alti si sta più lontani dal campo, e se le altezze strutturali cresceranno il paesaggio urbano ne risentirà. A meno che la febbre del grattacielo diffuso debba diventare il pensiero-unico per un gran pezzo di Milano, nonostante le proteste dei comitati cittadini verso tale scempio definito speculazione. Peraltro una delle tante della Giunta Sala. Rincara Repubblica: A chi parla di speculazione edilizia cosa risponde? “Che da parte di Inter e Milan non ci sarà alcuno spazio per la speculazione. Faremo: un albergo, la sede nostra e dell’Inter, un museo delle squadre e di San Siro (prima abbattuto quindi santificato, ndr) un piccolo centro commerciale di 15 mila metri quadrati, ristoranti e bar. Il tutto immerso nel verde perché deve diventare un luogo da visitare sempre”. Uno stadio un posto da visitare sempre? Mah, basterebbe far svolgere le partite in un clima normale, estirpando la teppa malavitosa che stabilisce controlli su parcheggi, posti in tribuna e curva, con ricatti e minacce alle società medesime, che come quasi tutti i club nazionali, la Lega Calcio e la Federcalcio accettano passivamente. I malviventi proseguiranno a infestare quel luogo? Repubblica non l’ha chiesto, forse sarebbe stato politicamente pruriginoso. Si parla, invece, di proprietà e di RedBird, la creatura di Gerry Cardinale, l’imprenditore di Filadelfia, nipote di immigrati, che ha fatto fortuna lavorando per Goldman Sachts. Lui investe e gioca con vari sport nel mondo. Nel calcio possiede Liverpool e Tolosa, spaziando fra Inghilterra e Francia. Negli States i Boston Red del baseball e i Pittsburgh Peanguins dell’hockey ghiaccio. A Milano fa lo stadio e poi vende? chiede Repubblica. “Non c’è nessuna ipotesi di cessione da parte di Cardinale, almeno nel medio termine – tranquillizza, ma mica tanto, Scaroni – lo stadio ci consentirà maggiori entrate, modernità e innovazione. Milano è la città del fare”. Secondo i cittadini dei comitati contrari a quest’ennesimo mattone della speculazione edilizia lanciata dieci anni fa con l’Expò, il fare è in totale assonanza con l’affare del colonialismo dei fondi finanziari. Son loro gli assalti alla vita urbana ed extra, l’occupazione di suolo oltre ogni ragionevole necessità, lo scippo di abitazioni alla popolazione locale a favore d’investimenti asfissianti e turismo lussuoso. Il vecchio calcio ormai sfigurato, serve soprattutto a questo.
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