Sentenzia, dall’alto della carica acquisita a suon di consensi nell’urna, la premier Meloni: “Mi sarei aspettata che i sindacati almeno su una questione che reputavano così importante non avessero indetto uno sciopero di venerdì, il week end lungo e la rivoluzione non stanno insieme”. Ce l’ha con gli odierni scioperanti, quelli che s’alzano all’alba o in piena notte, aspettano bus sempre in ritardo, coi conducenti che ascoltano lamentele d’altri pendolari del lavoro. Ce l’ha con netturbini e vigili del fuoco, infermieri e carpentieri, addetti alle pulizie e bidelli, impiegati e dottoresse, i pochi operai rimasti e pure le tante partite Iva che però risultano dipendenti anche loro di aziende che li fanno soci o consulenti comunque non protetti. Ce l’ha con l’Italia che lavora l'underdog coi nonni attrice e regista, la sorella d’Italia che fingendo si dipinge borgatara, in realtà solo sorella d’Arianna, colei che tesse il filo al primo partito di governo e al proprio amichettismo familiare. Ce l’ha con insegnanti e studenti, dimenticando quand’era, dicono, studentessa di buon profitto e altrettanto lodevole pagella. Ma fra l’Istituto Vespucci e l’attuale rendita di posizione c’è solo l’appartenenza politica, lunga, molteplice nelle sigle, tutte nell’ultradestra, tutte fiammeggianti (Fronte della Gioventù, Azione Studentesca, Azione Giovani, Alleanza Nazionale) fino al bacio in fronte donatogli dal padre putativo che l’ha elevata alla politica di potere, facendola ministro della Gioventù: Silvio Berlusconi. La più giovane ministra, trentuno primavere. Fra quel 2008 e i precedenti dodici anni, il suo tempo Giorgia Meloni, l’ha trascorso nelle sedi delle citate organizzazioni, più qualche incarico politico fra consigli circoscrizionali e provinciali. Quindi Dirigenze, Presidenze, ovviamente di partito, mai chessò un ufficietto, una scuola per una supplenza, un tour operator dove sfoggiare il patrimonio linguistico. Nulla. In realtà un posto di lavoro Giorgia, l’ha conosciuto fra il 2004 e il 2006, fra due rioni storici romani di Sant’Eustachio e Campo Marzio, presso la redazione de Il Secolo d’Italia, organo del Movimento Sociale Italiano, giornale di partito passato attraverso tutte le campagne d’odio, le stragi del neofascismo, il doppiopettismo almirantiano e poi finiano, fino a conservarsi testata di Allenza Nazionale e ora di Fratelli d’Italia. Lì la militante ormai ventisettenne fece due anni di praticantato per diventare, Ops!, giornalista professionista. L’avevano già fatto i camerati Gasparri e Storace. E prima di loro altri nostalgici piazzati nel carrozzone Rai, quando la Destra italiana si riteneva ostracizzata dal Pentapartito della Prima Repubblica e dalle successive gestioni lottizzatorie delle sinistre di governo. Sta di fatto che, come chi l’ha preceduta in talune magìe della partitocrazia e chi a lei attualmente s’accompagna, la o il, come meglio gradisce, Primo Ministro della Repubblica, mai ha sudato neppure una camicetta di seta, figurarsi una tuta da lavoro salariato. Sarà per questo che come usa nel Belpaese, straparla e giudica sull’altrui occupazione, sul diritto di scioperare, sulle presunte furbizie di chi s’assenta dal servizio per fare il vacanziere. Tutto spesato dal datore di lavoro, senza coscienza, senza morale, senza senso di collettività, senza vergogna. Così dagli scioperanti agli scioperati il passo diventa breve, e nella sua logica Meloni dovrebbe trovarsi in prima fila a manifestare con un vessillo in mano. Se non quello palestinese, il tricolore che dice d’amare e servire con patriottico livore.
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