Braccia sollevate all’arrembaggio per un pezzo della Sumud Flotilla per non finire ammazzati come Cengiz Alquyz, Ibrahim Bilgen, Ali Haydar Bengie, Cegdet Kiliclar, Cengiz Songur, Çetin Topçuoglu, Sahri Yaldiz, Necdet Yildirim, tutti cittadini turchi, e Furkan Dogan, turco-statunitense. Tutti attivisti imbarcati sulla Mavi Marmara appartenente alla Freedom Flotilla, che nella notte del 31 maggio 2010, vennero intercettati e assaltati dalle forze speciali della marina d’Israele. Finirono i loro giorni sotto i colpi d’arma da fuoco del commando israeliano per aver cercato con mani, bastoni e spranghe di respingere quell’attacco che impediva il trasporto di viveri e aiuti umanitari alla popolazione di Gaza assediata. Nei mesi precedenti Israeli Defence Forces aveva lanciato l’attacco denominato Piombo fuso, sedicente operazione difensiva che aveva assassinato 1.300 gazawi, anche in quel caso soprattutto civili e bambini. La comunità internazionale era stata prevalentemente inerte. Gli Stati Uniti erano guidati dal “progressista” Obama, la Lega Araba sollevò le solite proteste di facciata, più dura fu la Turchia di Erdoğan che interruppe per un periodo i rapporti con Israele, soprattutto a seguito dell’uccisione dei suoi concittadini, ma il tempo stemperò gli attriti. A Tel Aviv regnava anche allora Bibi Netanyahu, al suo secondo esecutivo in carica dal marzo 2009 al marzo 2013. In quindici anni la disgregazione mediorientale, nonostante le speranze antiautoritarie delle “Primavere arabe”, è tuttora in corso, e accanto alla soppressione di libertà e autodeterminazione di diversi popoli, l’etnìa palestinese è a rischio estinzione, come e peggio di quanto accadde all’epoca della ‘Nakba’ quando Israele nasceva e, in faccia al presunto progressismo delle comuni dei kibbutzim, imponeva la logica coloniale del sionismo, peggiorato e regredito nei successivi decenni con punte di ebraismo ortodosso feroce, oltranzista, razzista. Genocida.
In quasi due anni Tsahal ha eliminato 66.200 abitanti della Striscia, ne ha feriti e menomati 169.000, ne ha messi in fuga 400.000, creando da mesi un caotico e defatigante via vai per i 42 chilometri lungo quella costa su cui speravano di approdare i soccorritori pacifisti dell’ultima flottiglia, anch’essa internazionale come nel 2010. Il premier che incentiva la morte e il suo amico presidente, che parlando di pace lo protegge e sostiene, osservano i disperati traslochi degli assediati impossibilitati a scegliere dove riparare. I due si godono lo scempio creato, le morti per fame e sete di corpicini scheletrici, il crollo di neppure sessantenni dalle sembianze centenarie così ridotti dagli stenti sedimentati nel tempo, perché gli stop a forniture, alimenti, medicine sono esistiti anche negli anni passati. Servivano e servono a fiaccare, a scavare corpi, a martoriarli nell’essenza della vita, prim’ancora che nella devastazione della mente. Dall’8 ottobre 2023 il disfacimento del territorio, di strade e palazzi, finanche di tendopoli successive alle demolizioni urbane da terra e dal cielo, fa di quest’umanità dolente un ostaggio ben più grande dei prigionieri catturati da Hamas il 7 ottobre. E’ un impari prova di forza che punta a un futuro di sterminio definitivo forse anche di donne e uomini, certamente della testimonianza d’un popolo. Poiché al di là di sedicente Stato palestinese, gli agglomerati della Striscia e della Cisgiordania, non hanno mai avuto dignità di nazione. Risultano luoghi di prigionìa, più o meno mascherati e perpetuati nel tempo da una politica internazionale che associa anche cosiddetti amici, arabi e islamici, e leadership interne piegate al volere di Israele libero di praticare occupazione e umiliazione. Questo il tema che l’ultima Flotilla ha lanciato via mare, come il classico messaggio nella bottiglia che l’impotenza del naufrago o dell’isolato lancia affinché qualcuno lo raccolga. Nelle ultime settimane ciò che le Nazioni Unite e i potenti del mondo, governi e partiti vigliacchi e ambigui non vogliono trattare, viene afferrato da parecchie piazze del mondo. C’è da sperare che questo vento continui a soffiare. Per mare e per terra.
Nessun commento:
Posta un commento