martedì 30 settembre 2025

I miracoli di New Gaza

 


Nel Risiko della pace, che tanto l’affascina poiché vuol iscrivere il suo nome nella lista dei Nobel per tale traguardo, Donald Trump lancia venti comandamenti per la Nuova Gaza. Netanyahu li accetta, Hamas sta valutando, avrà ancora a disposizione quarantotto ore, visto che un giorno è già trascorso. Nella lista dei precetti spicca la premessa: Gaza libera dal terrorismo (inteso come rinuncia a qualsiasi difesa da parte palestinese), quindi riqualificazione a beneficio della popolazione di Gaza, che ha sofferto più che abbastanza (sic). E’ servito sotterrare e ferire definitivamente duecentomila cittadini di quei luoghi e sgombrarne quattrocentomila per enunciare questo principio.  Però, ad accettazione di entrambe le parti, tutti gli ostaggi, vivi e deceduti, saranno restituiti. Israele rilascerà anche 250 prigionieri condannati all’ergastolo più 1.700 abitanti di Gaza detenuti dopo il 7 ottobre, comprese tutte le donne e i bambini imprigionati in quel contesto. I membri di Hamas che si dovessero impegnare a una convivenza pacifica, smantellando l’organizzazione politica e militare, guadagnerebbe l’amnistia. Chi fra loro vorrà lasciare la Striscia riceverà un biglietto sicuro di sola andata. Accettato quest’accordo gli aiuti avranno quel via libera che finora Israele ha vietato, fatto marcire, centellinato col contagocce tramite l’erogazione gestita dalla Gaza Humanitarian Foundation (organismo statunitense creato ad hoc) che ha mitragliato e assassinato gazawi affamati, mentre presiedeva le scarse distribuzioni di alimenti. Ora la ripartizione tornerebbe alle agenzie Onu e alla Mezzaluna Rossa, chissà perché tutto ciò finora veniva vietato. La Striscia verrebbe governata da un fantomatico Comitato palestinese tecnocratico e apolitico supervisionato da un sedicente Ufficio della Pace (sic) che avrebbe fra i suoi esponenti di spicco l’ex premier britannico Tony Blair, che un decennio addietro un rapporto (Chilcot l’estensore) di due milioni e mezzo di parole mostrava quale mentitore per i presunti dossier sulle armi di ‘distruzione di massa’ in possesso di Saddam Hussein. 

 

In base a quelle falsità il suo governo appoggiò l’invasione statunitense dell’Iraq e il conseguente sterminio di 150.000  civili. Nel “comitato” potrebbero entrare funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese al momento della realizzazione d’un programma di non meglio definite riforme. Nella Striscia verrebbe istituita una “zona economica speciale con tariffe e tassi d’accesso preferenziali da negoziare con i Paesi partecipanti. Quindi, non solo si riproporrebbe una totale assenza d’uno sviluppo economico autonomo e autoctono, ma nazioni e società esterne trarrebbero vantaggi da quegli investimenti protetti. Chi vorrà potrà lasciare Gaza, ma a dimostrazione delle buone intenzioni dell’Ufficio della Pace, chi volesse rientrare potrà farlo. Tutte le infrastrutture militari in loco verranno distrutte, recita il precetto numero tredici, come se finora le macerie non avessero compreso anche alcune caserma o tunnel di Hamas. In realtà l’80% degli edifici d’ogni genere, compresi ospedali e scuole, sono stati rasi al suolo o irreparabilmente danneggiati. Secondo la versione di Tsahal perché erano rifugi dei miliziani islamici. Accanto all’Idf  (Israeli Defence Forces) comparirà l’Isf (International Stabilization Forces) formata da alleati degli Stati Uniti in Medioriente e nel mondo, che offrirà supporto a una “polizia palestinese” intenta a collaborare con Israele ed Egitto per tutelare la sicurezza interna e i confini settentrionali e meridionali. Il sedicesimo precetto (Israele non occuperà Gaza) è già smentito da Netanyahu. Questi non intende affatto portare via le sue truppe come suggerirebbe Trump a vantaggio del controllo dell’Isf . Fra gli acronimi c’è una sola lettera di differenza, Tel Aviv riconosce e vuol mantenere solo la sua “d”, una difesa che pratica stermini e occupazione. Poiché il veleno è sempre nella parte conclusiva, eccolo il diciannovesimo precetto trumpiano, il più buonista, che fa da prologo alla candidatura al Nobel: “Mentre la riqualificazione di Gaza avanza e quando il programma di riforma dell’Autorità Palestinese verrà fedelmente portato avanti, potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come l’aspirazione del popolo palestinese”. Un déjà-vu degli Accordi di Oslo del 1993. Peccato che questo bluff è già stato provato da un popolo turlupinato dalla geopolitica della manipolazione.

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