Dopo ottantasette giorni il fulcro del massacro e della distruzione messi in atto da Israele si concentrano sulla Striscia di Gaza e la sua gente. La conta di vittime e feriti è in continuo, tragico divenire, assieme alle spettrali sequenze dell’azzeramento sistematico delle abitazioni e della vita, prodromo dello sgombero forzoso di quel territorio che l’intero Stato ebraico (non solo il governo Netanyahu) prevede di attuare. Visto che il mondo guarda e lascia fare, il piano dell’inamovibile premier proiettato su sei mesi o un anno, presenta anche altri risvolti. Riguardano il settore di cui Israele è specialista, assieme alle tecniche d’aggressione militare: lo spionaggio. Le indubbie capacità di NSO Group Technologies - che nell’acronimo riporta in nomi (Niv, Shalev, Omri) dei fondatori dell'azienda sorta nel 2010 e diventata dopo un quinquennio leader nella cybersicurezza mondiale - hanno avuto nello spyware Pegasus un gioiellino fruttuosissimo e applicatissimo. Dai primi clienti (Messico, Panama, Ghana) la società israeliana ha ricevuto commesse sempre più importanti e lucrose, come quella proveniente dalla polizia di San Diego. In contemporanea proprio lo statunitense New York Times sosteneva che il prodotto era usato contro giornalisti e attivisti dei diritti. Amnesty International confermò i sospetti, poiché alcuni suoi membri venivano spiati in Arabia Saudita con le stesse forme di controllo subìte da Jamal Khashoggi nel periodo precedente il suo sequestro e omicidio. Denunce successive rivelarono l’inserimento del sistema Pegasus nella messaggistica WhatsApp per soggetti da tenere sotto controllo: ancora reporter, difensori dei diritti umani, presunti oppositori politici. Gli affari societari di NSO crescevano con clienti dislocati in vari continenti (India, Ungheria, Azerbaijan) spesso visitati dalle massime autorità di Tel Aviv intenzionate - così accusava il quotidiano Haaretz - a promuovere alleanze geopolitiche suggellate dalla sicurezza informatica.
L’orientamento dei vertici politico-militari-securitari israeliani non muta, anzi la fase della guerra aperta ad Hamas riversata sui due milioni di inermi civili della Striscia, introduce angolature maggiori che riguardano chi rientra nella cerchia delle alleanze d’Israele e delle sue inimicizie antiche e recenti. Con la Turchia e il governo Erdoğan le fasi sono state alterne e a tratti contraddittorie, sebbene nel 2022 una quasi distensione sembrava prevalere. In queste ore l’agenzia governativa Anadolu ha diffuso la notizia d’un arresto di massa (oltre trenta persone) di cittadini sospettati di collaborare col Mossad. Il comunicato non fornisce indicazione sui sospettati che sono di nazionalità turca e straniera. L’operazione, che coinvolge sicuramente il Mıt, segue un comunicato dello Shin Bet di alcune settimane or sono che intendeva colpire aderenti al Movimento di Resistenza Islamico nei territori palestinesi e all’estero. L’Intelligence israeliana utilizzerebbe agenti e infiltrati per dare la caccia ai miliziani islamici dov’essi trovano appoggio e rifugio, dunque Libano, Qatar, Turchia. Il ministro dell’Interno di Ankara s’è fatto sentire sui social, lanciando anatemi contro possibili attività di spionaggio considerate una minaccia per il Paese. Certo è che l’iniziale posizione defilata e collaborativa di Erdoğan, propostosi in veste di mediatore per la delicatissima vicenda delle trattative sullo scambio dei prigionieri, è stata quasi subito archiviata. Washington gli ha preferito la coppia egitto-qatariota Sisi-al Thani, decisamente meno autonomi del volpone turco e acquiescenti verso Israele. Ciò nonostante colloqui e scambi sono fermi perché su tutto Netanyahu antepone lo sgombero della Striscia. Convincere Egitto e Giordania, destinatari dell’esodo di massa dei gazesi continua a non esser semplice. Frattanto il presidente turco ha lanciato dichiarazioni sempre più dure sull’operazione militare a Gaza, parlando di pulizia etnica contro i palestinesi. Se il rischio di un’escalation regionale con ulteriori conflitti, per ora, riguardano i botta e risposta missilistici con Hezbollah nel sud del Libano e raid mirati, come l’eliminazione del capo pasdaran Razi Mousavi a Damasco, i colpi a distanza che coinvolgono spie e sistemi di spionaggio rappresentano un fronte a sé.
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