Stropicciato, un po’ invecchiato nonostante la postura da ex atleta e un’età ancora agevole per un politico (72 anni) Imran Khan, il primo ministro pakistano disarcionato nell’aprile 2022, lancia l’allarme per le elezioni che dovrebbero tenersi a febbraio prossimo. Lo fa da detenuto, condizione cui è ridotto dall’agosto scorso per una condanna di corruzione, che lui contesta e lega al ‘grande complotto’, a suo dire ordito dagli Stati Uniti, e motivo della sua esclusione dal governo. Gli ultimi diciotto mesi sono risultati agitatissimi per l’ex premier rincorso da tentativi di arresto con blitz polizieschi presso la lussuosa villa di Lahore, operazioni d’Intelligence volte a prelevarlo, interventi di massa di suoi sostenitori che hanno fatto recedere da bellicose intenzioni i reparti antisommossa dopo sanguinosissimi scontri attorno alla sua abitazione. Lì era rimasto rinchiuso, prima perché ferito in un attentato nel novembre 2022, quindi per una reclusione tramutata in arresto domiciliare, fino all’estate 2023 quando Khan ha accettato il processo. L’attuale condanna lo tiene lontano da una partecipazione elettorale, ma l’ex premier reclama anche un ostracismo al suo partito (Pakistan Tehreek-e Insaf) e ai potenziali candidati che certo non ne rimpiazzano popolarità e carisma. Però, sostiene il leader, costoro potrebbero partecipare a elezioni sulle quali incombe il rischio di ulteriori rinvii perché i partiti avversari - la Lega Musulmana (N), cui appartiene l’attuale premier Sharif e il Partito Popolare, controllato dalla dinastia Bhutto - non navigano in buone acque. Slittata nei novanta giorni seguenti alla sostituzione di Khan con Shehbaz Sharif, e poi nei mesi successivi, la scadenza elettorale fissata per i primi di febbraio potrebbe ricevere ulteriori proroghe. E se si andasse alle urne con questo clima “le elezioni potrebbero risultare una farsa” scrive l’ex premier in un recente articolo ospitato dal settimanale britannico The Economist. Nell’intervento ricorda la cancellazione delle consultazioni nelle province del Punjab e Khyber Pakhtunkhwa, dove il PTI ha un seguito amplissimo, quale ennesimo strappo alla democrazia.
A suo dire l’attuale esecutivo, con l’appoggio dell’esercito, starebbe forzando la mano per tenere congelata la rappresentanza del Paese. Khan torna sull’ombra dell’ingerenza straniera: nel marzo 2022 un funzionario del Dipartimento di Stato americano incontrò l'ambasciatore pakistano a Washington. Ne seguì un messaggio cifrato al governo che lui presiedeva e che a un certo punto non controllò più per il ritiro d’un manipolo di alleati che fecero mancare i voti di sostegno. La prova di quel messaggio venne successivamente fornita dal ministro degli esteri Qureshi. Così lui rinnova la denuncia d’una manipolazione del ceto politico pakistano prodotta dalla manona della Casa Bianca che si è avvalsa dei vertici delle Forze Armate, dal generale Bajwa, poi pensionato, ai successori Munir e Mirza. Al di là dell’animosità personale, una verità Khan la dice: la lobby militare ha un peso indiscutibile sulle scelte interne. E’ accaduto dalla nascita dello Stato e spesso contro il suo orientamento laico e parlamentare, visto quel che fecero alcuni generali diventati politici, da Zia-ul Haq nel decennio 1978-88 a Musharraf all’avvìo del Terzo Millennio. In tempi recenti i militari non si sono più esposti in prima persona, però perpetuano l’ingerenza sulla politica gareggiando coi servizi dell’Intelligence interna nel ruolo di guastatori. Al momento del successo elettorale (2018) lo stesso Khan godeva della “fiducia” della lobby che poi col potentissimo Bajwa gli ha voltato le spalle. Comunque il sospetto dell’ingerenza esterna non è campato in aria. Le amministrazioni, Repubblicane o Democratiche, che occupano lo Studio Ovale hanno per decenni rivolto particolare attenzione all’alleato asiatico contrapposto all’India, poiché avere in loco governanti amici rappresenta un beneficio da non perdere. Certe aperture internazionali di Khan verso Mosca e Teheran piacevano poco, da lì potrebbe essere partito il rigetto del suo premierato. Frattanto un’ultimora dice che il più noto fratello Sharif, Nawaz, altro ex premier pluricorrotto e condannato, potrebbe rientrare in corsa. A tal punto i lamenti del grande escluso avrebbero ulteriori ragioni.
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