giovedì 18 maggio 2023

Turchia: chi vince, chi perde, chi contesta

 


In attesa del voto, si discute sul voto. Il primo è quello del ballottaggio, decisivo per eleggere il presidente, il secondo concerne i risultati di domenica scorsa con contestazioni sia per la scelta del Capo dello Stato, sia per il Parlamento. Ad avere il dente avvelenato il partito repubblicano (Chp) che già a inizio dello spoglio aveva attaccato l’agenzia governativa Anadolu rea di far circolare prevalentemente i risultati dei feudi di Erdoğan, che infatti nelle prime due ore di scrutinio risultava depositario d’un 56% di consensi contro il 37% di Kiliçdaroğlu. Col passare delle ore la situazione si è riequilibrata, ma non al punto di consentire un risultato definitivo poiché nessuno ha superato la soglia del 50%. A fine conteggi, verificati da lunedì scorso dal Consiglio Elettorale Supremo, il presidente uscente è al 49.5%, il principale sfidante al 44.89%, il terzo uomo (Oğan) al 5.2%. Ma nella sede centrale del Chp i cuori, presi a simbolo della campagna elettorale, sanguinano. In tanti erano convinti che sarebbe stata l’occasione buona per dare la spallata definitiva allo strapotere di Erdoğan, superandolo al primo turno. E l’attuale situazione che conduce al ballottaggio, viene considerata da esponenti del partito kemalista frutto di scompensi, se non apertamente di brogli. Il loro deputato Erkek ha presentato la lista delle contestazioni: conta errori di calcolo in oltre settemila seggi, duemiladuecento riguardano i voti presidenziali, i restanti quelli per il Meclis. Ovviamente il fronte opposto respinge le accuse, giudicandole false. Il portavoce dell’Akp Celik sostiene come le valutazioni degli avversari siano assolutamente di parte, non giungono dai funzionari dell’organismo di controllo elettorale. Il cui presidente, Ahmet Yener, è intervenuto per dire che vengono diffuse voci infondate sul sistema di voto, verifica e conteggio. Lui fa capire che, al di là delle ordinarie falle proprie di ogni elezione (schede con doppia preferenza, ovviamente da annullare, oppure danneggiate su cui i rappresentanti di lista questionano per l’attendibilità del voto) il sistema è risultato trasparente. 

 

Ciascun gruppo politico aveva ovunque propri rappresentanti, in aggiunta a osservatori esterni. Una sicura carenza è che quest’ultimi non fossero dislocati in tutti i seggi. Comunque taluni oppositori continuano a dissentire giudicando “illegale” il Consiglio Elettorale. Altri conti vengono regolati in casa. Alcuni responsabili della campagna elettorale di Kiliçdaroğlu - che pure nel suo minimalismo, sembrava mettere il dito nella piaga della fallimentare gestione finanziaria di Erdoğan, cui si contestavano carovita, inflazione, caduta di stato sociale per i ceti medi - sono stati rimossi. Perciò la rincorsa degli ultimi dieci giorni fino al ballottaggio, verrà diretta da altro personale. E sebbene l’incertezza resti, soprattutto per il recupero dei voti di Oğan con cui lo staff del Chp ha già avuto un paio d’incontri, per quanto attenda, come lo stesso Akp, il pronunciamento ufficiale del ‘terzo uomo’ fissato per domani, sembra che l’entusiasmo che accompagnava la campagna dell’outsider intenzionato a entrare nella storia nazionale sia svilita. ‘Tornerà la primavera’ diceva uno dei suoi slogan, invece temperature autunnali e maltempo affliggono buona parte dell’Anatolia, come sta accadendo nel Mediterraneo centrale. L’altra resa dei conti, rispetto a quel che è accaduto alle politiche, è sul tavolo dei sei. L’unica a tenere botta è stata Akşener col suo Buon partito (İyi) capace di confermarsi gruppo compatto e conquistare 44 seggi in Parlamento. Le altre componenti sono risultate ininfluenti e in tanti casi inestistenti, come i raggruppamenti creati ad arte per i due ex ministri di Erdoğan, risultati senza radicamento e neppure carisma, nonostante entrambi fossero politici conosciuti e navigati. Erano però cresciuti sulla sponda opposta e dunque vissuti dall’elettorato kemalista come corpi estranei. Nonostante il partito repubblicano abbia ottenuto un aumento dei deputati - passando dai 146 del 2018 agli attuali 168 - solo il miracolo dell’elezione a presidente può salvare Kiliçdaroğlu da una chiusura di carriera. Un fallimento del sogno presidenziale gli anticiperà il pensionamento politico. 

 

- 8 continua

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