Al momento non ci sono strascichi polemici ma non è detto che non arriveranno, anche per quanto i concittadini e il mondo hanno visto in diretta con palazzi di sette piani implodere su se stessi come castelli di carte. Il terremoto che ha colpito in piena notte la Turchia orientale - epicentro nel distretto di Pazarcık della provincia di Kahramanmaraş con una prima scossa calcolata a 7.8 della scala Richter alle 4:17 dell’ora locale, a una profondità di 7 chilometri circa - è uno dei più distruttivi della cronaca recente. I sismologi affermano che l’Anatolia si sia spostata di tre metri, con una deformazione della fascia costiera fra Mersin e Alessandretta. Il maremoto temuto nei minuti successivi non si è verificato, l’onda marina non ha superato i venti centimetri. Si sono però ripetute varie scosse, una ventina, alcune particolarmente violente oltre i 7 gradi Richter, che hanno sbriciolato edifici precedentemente lesionali. Investita anche la zona sul confine siriano e la stessa Siria. Le vittime, purtroppo crescenti, nelle prime ore del pomeriggio superavano le 1.200 in Turchia e le 800 in Siria. I soccorsi, già mobilitati ma pur sempre insufficienti, sperano di salvare persone intrappolate fra le macerie sebbene si teme che il numero salirà di parecchio. Il Servizio di Protezione e la Mezzaluna Rossa vogliono scongiurare l’ecatombe del 1999 quando si contarono 18.000 decessi. In quel caso venne interessata la faglia nord Anatolica, che si sviluppa per centinaia di chilometri, attualmente è coinvolta la faglia est Anatolica, anch’essa molto lunga che sale verso il confine armeno.
Il Paese è in piena campagna elettorale per le consultazioni di metà maggio (politiche e presidenziali), il giorno precedente la catastrofe il presidente Erdoğan era nel distretto occidentale di Aydın e nel corso d’un comizio si scagliava contro la coalizione dell’opposizione formata da partiti storici come il repubblicano e da nuove sigle (İyi Parti, Demokrasi ve Atılım Partisi, Gelecek Partisi), alcune create da suoi ex sodali come il ministro degli Esteri Davutoğlu o quello dell’Economia Babacan. Diceva rivolto a quest’ultimi: "Non saranno in grado di portare via i successi della nostra nazione. Non ci impediranno di costruire il nuovo secolo della Turchia proprio come non sono riusciti a ostacolare i nostri obiettivi del 2023". Quindi con la retorica che gli è propria: "Quando guardiamo i disastri di cui abbiamo sofferto nel primo secolo della nostra Repubblica, vediamo le stesse mani sporche, gli stessi scenari sporchi e gli stessi patetici burattini". Seguiva il riassunto di ciò che il governo dell’Akp ha realizzato in quella provincia: più di 1.668 case con le loro infrastrutture, messe in opera con l'aiuto della Housing Development Administration (TOKİ), l’agenzia voluta nel 1984 dal governo Özal, egualmente sostenuta dagli esecutivi del partito erdoğaniano E ancora: 14 dighe, 12 stagni, 5 centrali idroelettriche, 7 consolidamenti fondiari, 30 sistemi di irrigazione, 38 impianti di irrigazione, 16 impianti di stoccaggio sotterraneo, un Technopark, nove centri di ricerca e sviluppo, tre di progettazione. Chissà se sugli scheletri degli edifici lesionati dalle terribili scosse di stanotte i politici, per ora stretti nella solidarietà nazionale, non scateneranno polemiche riguardo alla scarsa diffusione di edilizia antisismica. Certo, le mura bizantine del castello di Gaziantep, che aveva substrati romani e addirittura ittiti, stamane risultavano sbriciolate. Però questo riguarderà il patrimonio archeologico nel quale è coinvolto anche l’Unesco, l’occhio vigile su quanto non è stato fatto in ragione di prevenzione e su quanto non si farà in tempo a fare per evitare morti da schiacciamento, potrebbe costituire un ulteriore tema di scontro elettorale. Per ora si scava, tre giorni di tempo per salvare vite. Erdoğan è cosciente che da sola la Turchia non ce la può fare: ha fatto appello al mondo e alla Nato. In tanti dicono di volerlo aiutare.
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