domenica 6 marzo 2022

Peshawar, martire e martirizzati

L’hanno onorato come martire Julaibeed al-Kabuli, il miliziano che si è portato nel Janna sessantatré fedeli oranti nella moschea sciita di Peshawar. La celebrazione accanto alla rivendicazione dell’attentato è dell’Isis-Khorasan che s’è attribuito la paternità dell’attentato dello scorso venerdì. Tutto mentre venivano svolti i funerali dei poveri cittadini colpiti dalla follìa fondamentalista sempre pronta a cercare fra gli sciiti obiettivi sicuri delle proprie sanguinarie azioni. Altre trentasette persone restano ospedalizzate e per cinque di loro la situazione è disperata. Un comunicato della polizia, che si dice sulle tracce degli altri membri della cellula terrorista, afferma come quel nome sia uno pseudonimo usato dai membri dell’Isis per proteggere i familiari da indagini poliziesche. Mentre le forze dell’ordine si dicono certe di poter rintracciare altri componenti della cellula. Anche perché hanno ricevuto informazioni sulla provenienza afghana dell’attentatore che si sarebbe unito al gruppo del Khorasan seguendo un percorso di adesione alla Jihad nei territori di confine. Al di là del singolo attentato, comunque sanguinosissimo, gli organi di sicurezza pakistani sono in allarme per la ripresa di operazioni terroristiche sul proprio territorio, perciò mette sotto osservazione il separatismo dei Beluchi, i gruppi del nord Waziristan, i temibili Tehreek-i Taliban.  La stessa sigla del Khorasan che opera in territorio afghano avrebbe trovato riparo fra i porosi confini delle Fata e in quelli settentrionali, dove il flusso di profughi fra Jalalabad e Peshawar prosegue copioso. Dentro queste trasmigrazioni si sono celati i jihadisi fuggiti dalle prigioni dopo la conquista talebana di Kabul della scorsa estate. Una parte di essi è stata catturata, e passata per le armi, dalle truppe dell’Emirato, altri sono parcheggiati nei campi di accoglienza dei flussi di gente proveniente dall’Afghanistan.

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