giovedì 14 febbraio 2019

Baluchistan, autobomba sui pasdaran


Con l’eco dei festeggiamenti per il quarantennale della Rivoluzione Islamica ancora nell’aria, il popolo (o quella parte tuttora fedele ad ayatollah e guardiani della rivoluzione) stretto attorno agli stendardi nazionali, alle parole d’ordine diffuse dagli altoparlanti d’un luogo simbolo di Teheran, l’enorme piazza Azadi, rimane colpito dalla notizia di nuova insicurezza che sedimenta sull’instabilità nazionale: l’ennesimo attentato. Un’auto bomba è esplosa durante il passaggio di un mezzo che trasportava un reparto di pasdaran in un’area di confine col Pakistan. E’ la martoriata regione del Baluchistan, dove la presenza di gruppi di guerriglia sunnita conduce da anni attentati e assalti soprattutto contro le forze armate iraniane. In azione in più punti di quell’area, centrale di snodo di traffici di oppio di produzione afghana, gruppi separatisti, come il cosiddetto Jundallah, che puntano all’autonomia dall’Iran e dal Pakistan. Quest’ultimo attraverso certi governi e le iniziative spesso indipendenti della sua agenzia d’Intelligence (ISI) interviene a sostegno di leader talebani che hanno posto a Quetta la propria base. Nella città a 120 chilometri dal confine afghano, ha sede la famosa Shura organismo politico-militare più importante della galassia talebana.
L’attentato di ieri è stato compiuto a Zahedan, un tempo chiamata Dozz-aap (il nome, mutato sotto il regno di Reza Pahlavi, è sopravvissuto allo Shah), una cittadina prospiciente un tratto desertico.  Mentre il mezzo, che trasportava militari sul confine pachistano, transitava un kamikaze alla guida d’una macchina l’ha affiancato e ha innescato il carico esplosivo. Così sono morti ventisette guardiani e un numero imprecisato è rimasto ferito,  alcuni gravemente. La notizia è stata diffusa dall’agenzia Fars che ha riportato anche un commento piccato del ministro Zarif. Il responsabile iraniano degli Esteri sottolinea la strana coincidenza della ripresa terroristica in contemporanea con l’avvìo della conferenza di Varsavia volta alla “promozione di futura pace e sicurezza in Medio Oriente”, di fatto un puntello della linea anti iraniana lanciata dall’amministrazione Trump nella politica estera statunitense. Tantoché nello sviluppo di quest’assise i big dell’Unione Europea si sono smarcati inviando rappresentanti minori. Così il Segretario di Stato statunitense Pompeo si ritrova a patteggiare principalmente con le voci dell’estremismo istituzionale del Medio Oriente: il premier, forse ancora per poco d’Israele, Netanyahu e il principe assassino bin Salman che il quadro internazionale pare aver perdonato per uno dei più truculenti omicidi geopolitici degli ultimi tempi, assieme a quello di Giulio Regeni, che ha prodotto lo smembramento del corpo stordito dell’opinionista saudita Jamal Khashoggi.

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