In pieno fermento di trattative su più tavoli, frequentati da
potenze mondiali, i talebani dettano la propria agenda. Se ci vogliono –
pensano e dicono – dovrà essere alla maniera nostra. Così nei colloqui che si
svolgono in queste ore a Mosca con lo staff predisposto da Putin, uno dei capi
negoziatori taliban, Abbas Stanakzai, se la prende con l’attuale Costituzione
afghana giudicata illegittimata e un ostacolo ai passi in atto per la
pacificazione del Paese. Dunque, occorrerà lavorare per un nuovo testo
realizzato con studenti coranici e accademici, per poi sottoporlo
all’accettazione della popolazione. Dopo il ritiro delle truppe americane (che il
presidente Trump ha ribadito nel discorso di ieri allo Stato dell’Unione), la domanda
dei turbanti riguarda se stessi: i nomi dei propri leader dovranno essere
rimossi dalla ‘lista nera’ stilata dagli Usa, cosicché potranno viaggiare
liberamente per il mondo nella veste di ambasciatori di pace. Un richiamo
macabro comunque realistico: vogliono trattare da pari a pari con tutti, futuri
alleati ed ex nemici. Al tavolo russo non sedeva l’attuale diarchia afghana
Ghani-Abdullah, ma c’era l’antico presidente-fantoccio creato da Washington:
Hamid Karzai.
Proprio lui ha esordito con la speranza che Pakistan e
Afghanistan (rappresentato da chi resta un’incognita) possano forgiare buoni
rapporti per una riuscita positiva dell’incontro moscovita. Vestendo i panni
del saggio il capo clan Karzai, con fratelli impegolati in affari più o meno
loschi (il più chiacchierato e al soldo della Cia, Ahmed Wali, venne freddato
nel 2011 davanti alla sua abitazione, trafficava oppio), s’è collegato
all’altro tavolo di contatto coi talebani, quello tenuto dai suoi amici
statunitensi a Doha. Sebbene, differentemente da quei colloqui secretati, in
questa sede si sia discusso addirittura in collegamento sui social media. La
voce talebana ha trattato parecchie questioni: pace, governo, salute, progetti
di sviluppo, servizi e addirittura diritti di genere. Tema quest’ultimo che mette
in fibrillazione le donne del Paese, non solo le attiviste d’opposizione più
note (Joya, Ghaffar, Roshan) ma le stesse parlamentari vicine ai governi
filoccidentali che temono un ritorno del fanatismo fondamentalista. Giocando
con la memoria Stanakzai ha revisionato il passato; ha dichiarato che gli studenti coranici non chiudevano né
tantomeno bruciavano le scuole femminili (sic).
Il suo negazionismo sosteneva l’estraneità del movimento alle
stesse morti di civili tramite gli ordigni antiuomo (IEDs). Un discorso quasi ecumenico
per cui: la pace necessita di realismo e consenso popolare, oltreché di forti
garanzie generali. Gli hanno fatto eco altri colloquianti, ad esempio Qanooni,
uomo della vecchia guardia, ex vicepresidente, un tajiko alleato di Signori
della guerra del calibro di Massud e Fahim, compagnìe non certo libertarie. Nel
balletto delle buone intenzioni ha dichiarato che “L’epoca della guerra è terminata”, che “Due milioni e mezzo di martiri per la nostra Repubblica Islamica sono
troppi”. Meglio tardi che mai. Per la cronaca questo signore, un tempo aderente
all’Alleanza del Nord, sostenne nel 2001 l’invasione statunitense della nazione
che ora vuole pacificare. Oggi afferma: “Nel
nostro Paese c’è una generazione dinamica, dobbiamo riformare il sistema con
una democrazia compatibile ai nostri valori”. Mentre un altro partecipante
al simposio, Mohammad Mohaqqiq, hazara e warlord tende la mano ai talebani
ricordandone la comune fede islamica. L’Afghanistan della pace futura ha radici
ben salde nel suo percorso di guerra.
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