La protesta estrema, a
rischio vita, ha dato i suoi frutti. Leyla Güven, membro e deputata del Partito
democratico dei popoli, l’aveva attuata dallo scorso 7 novembre: uno sciopero
della fame per protestare contro l’isolamento cui è sottoposto il leader del
Pkk Abdullah Öcalan. Lei era stata arrestata nel gennaio 2018 per il sostegno
dato a manifestazioni contro la repressione turca verso le enclavi kurde del
nord della Siria, il territorio del Rojava autogestito dalla comunità e difeso
militarmente dagli attacchi dell’Isis e negli ultimi mesi dello stesso esercito
turco. Per queste operazioni la Güven non faceva sconti alla linea della
fermezza attuata da Erdoğan e non faceva sconti a se stessa, praticando lo
sciopero nel carcere turco dov’è reclusa. Un gesto che non è rimasto isolato. Giorno
dopo giorno, altri 150 militanti e attivisti kurdi solidali con lei dentro e
fuori le carceri, a Erbil e in altre località, hanno attuato la medesima
azione. Anche il cuore dell’Europa ne è stato coinvolto e la seconda sede del
parlamento europeo, Strasburgo, ha visto schierarsi dottorandi kurdi che lì
lavorano sulla stessa linea d’una cosciente determinazione: non mangiare per la
Güven, per Öcalan e per tutti i detenuti kurdi. Dopo undici settimane di
sciopero la cinquantacinquenne deputata risultava in pericolo di vita, così un
magistrato ha disposto la sua scarcerazione. Nel frattempo, l’attenzione
riportata su Öcalan ha prodotto una deroga all’isolamento e lo storico detenuto
(è nel carcere speciale di İmralı dal 1999, dopo la cattura a Nairobi da parte
di agenti del Mıt che ebbero la collaborazione degli allora premier tedesco
Schröder e italiano D’Alema) una dozzina di giorni fa ha potuto ricevere una
visita del fratello.
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