L’assalto talebano nella città afghana di Farah, sul confine
occidentale verso l’Iran, è l’ennesima prova di forza territoriale che le
milizie talib ortodosse compiono contro governi centrale e locale. Rientra
nelle cosiddette “offensive di primavera” che i turbanti compiono annualmente
sin dal periodo in cui la presenza militare dell’Enduring Freedom era copiosa e diffusa in quattro quadranti
d’intervento. All’epoca Farah era presidiata proprio dalle truppe italiane. Ora
non più. L’attacco, partito a inizio settimana, ha visto la partecipazione di duemila
assalitori che inizialmente hanno avuto la meglio sulle truppe dell’esercito
afghano lì dislocate, il governatore ha per l’ennesima volta chiesto rinforzi a
Kabul, ma invano. I talib hanno occupato i suoi uffici e solo a quel punto si
sono mosse delle forze speciali aviotrasportate dalla capitale. L’azione non si
può definire una sorpresa poiché da tempo la città rientra fra i luoghi
sensibili per simili operazioni che
fungono anche da propaganda politico-militare. In più da circa due anni è in
corso una competizione a distanza fra i talebani di Akundzaza della Shura di
Quetta e i dissidenti che hanno creato il network dell’Isis afghano, forti
soprattutto del supporto del gruppo denominato Islamic State Khorasan Province.
Quest’ultimi hanno lanciato una sequela sanguinosissima
di attentati, etno-confessionalmente rivolti contro la componente hazara di
religione sciita, ma che spesso colpiscono passanti e chi ha la sfortuna di
trovarsi nei luoghi prescelti per le stragi. Ultimamente nel mirino sono finiti
gli uffici elettorali, già in servizio per predisporre le consultazioni
previste in ottobre che vedrebbero mutare il sistema d’identificazione degli
elettori tramite carte d’identità elettroniche. Una riforma voluta dal premier
Abdullah, ufficialmente per evitare brogli. C’è da ricordare che sia lui sia
Ghani s’accusarono reciprocamente di frode in occasione delle consultazioni
presidenziali 2014. Le rispettive fazioni tajika e pashtun giunsero a girare
armate per via minacciando lo scontro. Fu il tutore americano, nella persona
del Segretario di Stato Kerry, a proporre la soluzione della diarchia, accontentando
entrambi gli interessi di parte e soprattutto quelli della Casa Bianca che ha
avuto a disposizione l’ennesimo esecutivo fantoccio. Jihadisti di varie sigle
attaccano questo sistema, ricevendo il consenso di una parte della popolazione
che nella gestione corrotta di governi complici dell’occupazione occidentale
non trovano un’alternativa alle proprie sciagure. Ovviamente non gliela
fornisce neppure la logica sanguinaria dell’Isis e dei talib che si fa gioco
delle vite dei civili alla stregua della linea Nato dei cosiddetti “danni
collaterali”.
E’ questa strettoia ripetuta da anni che priva il Paese e la maggioranza oppressa della
popolazione di alternative concrete, visto che l’unica opzione da decenni è
stare coi signori della guerra: quelli etnici oppure religiosi o venduti
all’imperialismo. Che spesso lanciano ipotesi di avvicinamento viste e riviste
negli ultimi mesi col fondamentalista Hekmatyar riaccolto a Kabul con tutti gli
onori per aiutare Ghani in un ipotetico patto coi talebani da inserire nel
governo. Tutto con la supervisione della Cia del Mike Pompeo trumpiano di
ferro. Peraltro il copione non è nuovo, perché passi simili li fecero il
presidente Karzai avvicinando gli uomini del mullah Omar tramite l’allora direttore
dell’Intelligence statunitense Panetta in combutta con Obama. E fu comunque un
fallimento. L’orizzonte non cambia nella terra dell’Hindu Kush. Tre anni fa un
assedio talebano alla città di Kunduz durò da settembre a ottobre. Per stanare
i turbanti che respingevano ogni tentativo di liberazione dell’Afghan National
Forces e pure dei marines furono necessari bombardamenti a tappeto
dell’aviazione. Che tanto per non farsi mancare nulla bombardarono l’ospedale
di Medecins sans frontières ammazzando
anche ricoverati e personale sanitario. Da ieri, comunicano le agenzie, Farah è
liberata. Tanti afghani si chiedono da cosa e quanto sia ampio il fronte dei
nemici della vera libertà e dell’autodeterminazione.
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