Quanto incida la preoccupazione e quanto, invece, la
speranza sull’election day turca,
voluta da Erdoğan col notevole ausilio del ‘lupo grigio’ Bahçeli, è un dilemma
che si risolverà con lo spoglio elettorale post 24 giugno. La Turchia
polarizzata arriva a questa scadenza, imposta con una legge votata a metà marzo
scorso, che cementa l’alleanza di comodo fra islamisti dell’Akp e
nazionalisti del Mhp. Legge che introduce emendamenti a quattro precedenti
normative e che ha anticipato di diciassette mesi le consultazioni previste per
novembre 2019. L’opposizione teme che quanto stia accadendo nel Paese dopo il
tentativo di golpe del luglio 2016 (stato d’emergenza, arresti ed epurazioni nei
settori statali di sicurezza, amministrazione, istruzione, giustizia più la
feroce persecuzione della stampa libera) possa essere ulteriormente suggellato
da forme istituzionalizzate di autoritarismo. Il passo della legge in questione
inquieta ulteriormente perché va a minare elementi primari della consultazione
democratica: imparzialità, indipendenza, trasparenza. Secondo la voce del
Partito democratico dei popoli questi cambiamenti: “Oltre a distruggere il pluralismo, ostacoleranno un’equa rappresentanza
di idee diverse e di segmenti della popolazione. Potrebbero rendere il voto
quasi impossibile in alcune regioni per via dei regolamenti tecnici che lo
renderanno difficile. Polizia armata o altre forze di sicurezza possono essere
impiegate per mettere gli elettori sotto pressione, e regole come quella di considerare
valide le schede non chiuse manipoleranno i risultati elettorali e porteranno a
varie pratiche illegali che potrebbero danneggiare la fiducia degli elettori”.
Paure sono espresse anche sul fronte del maggior partito
d’opposizione (Chp) che nella consultazione del novembre 2015 aveva ottenuto oltre
12 milioni di voti ed eletto 113 deputati, mentre l’Hdp coi suoi 59 onorevoli riusciva a confermare l’exploit del giugno precedente,
pur perdendo una ventina di eletti. Nei mesi successivi, complice la stretta
repressiva in atto, molti di questi parlamentari sono finiti in galera, a
cominciare dai due co-presidenti del partito, Demirtaş e Yüksekdağ, accusati
direttamente di terrorismo. Ora, sempre il partito filo kurdo, contesta talune
innovazioni vantaggiose per il governo. L’articolo 1 dell’accordo elettorale
introduce la possibilità per il cittadino di registrarsi in più seggi, un’opzione
che elimina quel controllo diretto basato sulla presenza in un unico seggio. Con
l’articolo 2 i governatori (quelli nominati dallo Stato per sostituire i
sindaci kurdi, ne sono stati finora rimpiazzati 94) possono decidere di accorpare
le urne e formare liste di votanti misti. Tali spostamenti possono incidere sull’accesso
al voto di molti cittadini, ad esempio in zone montuose come quelle del sud-est
dove il sostegno all’Hdp è considerevole. Sempre questo partito contesta
l’accorpamento del voto politico a quello presidenziale perché, a suo dire,
confligge col principio della separazione dei poteri. Nell’articolo 8 è
prevista la possibilità che chiunque possa convocare le forze dell’ordine nel
seggio, finora poteva farlo solo il presidente del seggio stesso. In tal modo
chi vorrà ostacolare i rappresentanti di lista sgraditi oppure la presenza di
osservatori internazionali troverà appigli nella norma. E non è finita. Ora i
presidenti di seggio verranno scelti solo fra i pubblici ufficiali, dunque fra
il personale selezionato dal governo che, dopo le purghe politiche degli ultimi
due anni, promuove solo cittadini fedeli.
Assolutamente scandalosa – sostengono all’Hdp – è la scelta di
considerare valide le schede non sigillate. Il rischio di manomissione e brogli
è palese, eppure i legislatori di maggioranza (Akp-Mhp) non s’imbarazzano e
avallano un articolo in profondo conflitto con una precedente legge (lg. 298,
art. 98). Scandalo su scandalo si giunge all’articolo 20, creato su misura per
gli alleati nazionalisti grazie ai quali il Partito della Giustizia e Sviluppo
ha trovato sponda nell’anticipare il raddoppio alla presidenza di Erdoğan e
fargli celebrare il centenario della Turchia moderna diventata sua proprietà.
L’articolo in questione offre ai partiti che si alleano l’opportunità di
eleggere propri rappresentanti sulla base del superamento della soglia di
sbarramento posta al 10%. La situazione riguarda direttamente il gruppo
nazionalista, tre anni addietro attestato sull’11,90% ma oggi in odore di
flessione, a causa della scissione della deputata Akşener che ha accusato il
vecchio presidente di sostegno sperticato al personalismo di Erdoğan. Il gruppo
formato dalla dissidente ruberà sicuramente consensi a Bahçeli che comunque,
con quest’articolo, si garantisce una sopravvivenza politica e fa sopravvivere
il blocco governativo dell’Akp. Nonostante il quadro decisamente sfavorevole le
opposizioni turca e kurda sperano e cercano un sostegno. Finora non è mai stato
reciproco, potrebbe diventarlo nella fase d’attacco estremo alla democrazia,
anche quella formale. Quella sostanziale vive da anni giorni nerissimi.
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