giovedì 3 maggio 2018

Elezioni turche, democrazia sempre più in bilico


Quanto incida la preoccupazione e quanto, invece, la speranza sull’election day turca, voluta da Erdoğan col notevole ausilio del ‘lupo grigio’ Bahçeli, è un dilemma che si risolverà con lo spoglio elettorale post 24 giugno. La Turchia polarizzata arriva a questa scadenza, imposta con una legge votata a metà marzo scorso, che cementa l’alleanza di comodo fra islamisti dell’Akp e nazionalisti del Mhp. Legge che introduce emendamenti a quattro precedenti normative e che ha anticipato di diciassette mesi le consultazioni previste per novembre 2019. L’opposizione teme che quanto stia accadendo nel Paese dopo il tentativo di golpe del luglio 2016 (stato d’emergenza, arresti ed epurazioni nei settori statali di sicurezza, amministrazione, istruzione, giustizia più la feroce persecuzione della stampa libera) possa essere ulteriormente suggellato da forme istituzionalizzate di autoritarismo. Il passo della legge in questione inquieta ulteriormente perché va a minare elementi primari della consultazione democratica: imparzialità, indipendenza, trasparenza. Secondo la voce del Partito democratico dei popoli questi cambiamenti: “Oltre a distruggere il pluralismo, ostacoleranno un’equa rappresentanza di idee diverse e di segmenti della popolazione. Potrebbero rendere il voto quasi impossibile in alcune regioni per via dei regolamenti tecnici che lo renderanno difficile. Polizia armata o altre forze di sicurezza possono essere impiegate per mettere gli elettori sotto pressione, e regole come quella di considerare valide le schede non chiuse manipoleranno i risultati elettorali e porteranno a varie pratiche illegali che potrebbero danneggiare la fiducia degli elettori”.   

Paure sono espresse anche sul fronte del maggior partito d’opposizione (Chp) che nella consultazione del novembre 2015 aveva ottenuto oltre 12 milioni di voti ed eletto 113 deputati, mentre l’Hdp coi suoi 59 onorevoli  riusciva a confermare l’exploit del giugno precedente, pur perdendo una ventina di eletti. Nei mesi successivi, complice la stretta repressiva in atto, molti di questi parlamentari sono finiti in galera, a cominciare dai due co-presidenti del partito, Demirtaş e Yüksekdağ, accusati direttamente di terrorismo. Ora, sempre il partito filo kurdo, contesta talune innovazioni vantaggiose per il governo. L’articolo 1 dell’accordo elettorale introduce la possibilità per il cittadino di registrarsi in più seggi, un’opzione che elimina quel controllo diretto basato sulla presenza in un unico seggio. Con l’articolo 2 i governatori (quelli nominati dallo Stato per sostituire i sindaci kurdi, ne sono stati finora rimpiazzati 94) possono decidere di accorpare le urne e formare liste di votanti misti. Tali spostamenti possono incidere sull’accesso al voto di molti cittadini, ad esempio in zone montuose come quelle del sud-est dove il sostegno all’Hdp è considerevole. Sempre questo partito contesta l’accorpamento del voto politico a quello presidenziale perché, a suo dire, confligge col principio della separazione dei poteri. Nell’articolo 8 è prevista la possibilità che chiunque possa convocare le forze dell’ordine nel seggio, finora poteva farlo solo il presidente del seggio stesso. In tal modo chi vorrà ostacolare i rappresentanti di lista sgraditi oppure la presenza di osservatori internazionali troverà appigli nella norma. E non è finita. Ora i presidenti di seggio verranno scelti solo fra i pubblici ufficiali, dunque fra il personale selezionato dal governo che, dopo le purghe politiche degli ultimi due anni, promuove solo cittadini fedeli.

Assolutamente scandalosa – sostengono all’Hdp – è la scelta di considerare valide le schede non sigillate. Il rischio di manomissione e brogli è palese, eppure i legislatori di maggioranza (Akp-Mhp) non s’imbarazzano e avallano un articolo in profondo conflitto con una precedente legge (lg. 298, art. 98). Scandalo su scandalo si giunge all’articolo 20, creato su misura per gli alleati nazionalisti grazie ai quali il Partito della Giustizia e Sviluppo ha trovato sponda nell’anticipare il raddoppio alla presidenza di Erdoğan e fargli celebrare il centenario della Turchia moderna diventata sua proprietà. L’articolo in questione offre ai partiti che si alleano l’opportunità di eleggere propri rappresentanti sulla base del superamento della soglia di sbarramento posta al 10%. La situazione riguarda direttamente il gruppo nazionalista, tre anni addietro attestato sull’11,90% ma oggi in odore di flessione, a causa della scissione della deputata Akşener che ha accusato il vecchio presidente di sostegno sperticato al personalismo di Erdoğan. Il gruppo formato dalla dissidente ruberà sicuramente consensi a Bahçeli che comunque, con quest’articolo, si garantisce una sopravvivenza politica e fa sopravvivere il blocco governativo dell’Akp. Nonostante il quadro decisamente sfavorevole le opposizioni turca e kurda sperano e cercano un sostegno. Finora non è mai stato reciproco, potrebbe diventarlo nella fase d’attacco estremo alla democrazia, anche quella formale. Quella sostanziale vive da anni giorni nerissimi.

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