Fugge anche la gioventù dorata plasmata per il
sostegno alla “classe dirigente” afghana. Giovani formati presso l’Università
di Kabul oppure spediti a studiare direttamente negli States per essere
inserirti nella locale macchina amministrativa. Il volto immacolato del sistema
corrotto voluto da americani ed europei. Quei ragazzi ci credevano, s’avvantaggiavano
dello status sociale: casa di proprietà nei recenti edifici abitati dalla casta
di burocrazia e affari, duemila dollari al mese che per venti e trentenni
locali rappresentano una fortuna. Riuscire a vivere nel proprio Paese devastato
in certe condizioni di privilegio, costituiva un sogno per pochissimi. Avevano
riposto speranze nel presidente ammaliatore e gentile, quell’Ashraf Ghani che
proveniva dalla Banca Mondiale ed è la quintessenza del disegno statunitense di
“stabilizzare” una nazione privata della libertà e posta sotto la propria
tutela. Eppure in quello Stato prigioniero del business della guerra imperialista
e del fondamentalismo - quest’ultimo secondo i casi, nemico o alleato di
governanti corrotti - non vogliono più vivere neppure i beneficiati.
Lo narrano a The
Guardian Farid e Rafi. Venticinquenne
il primo, occupato per un periodo presso strutture vicine alla Banca Mondiale
nella provincia di Kapisa; trentenne l’altro, impiegato per sette anni per
un’azienda locale inserita nel circuito della cooperazione internazionale,
entrambi non hanno più sopportato e sono fuggiti. Per la paura del presente,
fatto di bombe e talebani ovunque, di truppe Nato ancora lì, di nuovi istrioni e
vecchi signori della guerra, accanto a un futuro annebbiato e intossicato. Anche
loro, i privilegiati, finiscono nelle statistiche dei richiedenti asilo per l’Europa
(prevalentemente in Germania) che da gennaio ad agosto scorsi hanno segnato
123.000 domande, più del doppio del 2014. Sono quasi tutti giovani uomini che
non vogliono finire massacrati come i parenti durante la guerra civile del
quadriennio 1992-96 (fra i 60.000 e 80.000 morti) oppure vittime della missione
Isaf (oltre 200.000 civili uccisi direttamente o per ‘danni collaterali’). Frattanto
il mercato nero della migrazione ha fatto lievitare le spese.
Oggi un viaggio (via Nimruz), che tempo addietro
s’aggirava sui 4000 dollari, ne costa 7000. Un volo verso Teheran e il
proseguimento via terra 9000, cui si devono aggiungere 2000 dollari se si vuole
volare a Istanbul. Poi ci sono le incongruenze mostrate da tutti i Paesi membri
dell’Unione Europea. Quando i fuggiaschi sono nei luoghi d’origine, parecchi
governi usano per loro il termine rifugiato, promettendo aiuto e integrazione.
Successivamente la realtà può trasformarsi e mostrare comportamenti ben diversi.
Non solo in Ungheria. I due intervistati hanno testimoniato che, fra i vari gruppi
di dieci persone visti trasmigrare per l’Iran, gente giovane e fisicamente in
salute, solitamente tre-quattro venivano bloccati dagli agenti di frontiera e ricacciati indietro. Cosa che
ormai può accadere anche nella successiva tappa turca, poiché la polizia è
diventata molto meno tollerante d’un anno fa. Eppure il rischio va corso: la
situazione afghana è nient’affatto sicura, non solo non c’è futuro, anche il
presente stenta. Povertà e addirittura fame diventano uno spettro generale.
Ghani, il seduttore, li ha traditi. Loro non dimenticano.
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