In
quella municipalità di Kabul chiamata Shahrak-e Hoshmand, sorta e
ora ampliata lungo la via che conduce all’aeroporto - cittadella-bene definita
‘Smart city’ dai signori che se ne intendono - è recentemente comparso mister
Khalilullah Ferozi. Per chi ha conoscenza e memoria si tratta d’un elemento (l’altro
era Sherkhan Farnood) vicino al clan Karzai. I due furono posti ai vertici
della Kabul Bank che nel 2010 registrò scandalosi ammanchi in base a una
conduzione di doppia contabilità. Saccheggiando il maggior istituto di credito
del Paese per un miliardo di dollari, Ferozi e Farnood arricchivano alcuni
partner d’affari, se stessi e i loro padrini politici. Oltre al presidente
riceveva fondi il vicepresidente Fahim. Ovviamente i due erano lindi, le
tangenti le intascavano i rispettivi fratelli: Mahmud Karzai e Hassin Fahim. Il
funzionario dei loschi affari - dopo aver scontato pene minime e domiciliari per
i grossi ammanchi che s’estendevano agli elargitori internazionali di denaro,
Stati Uniti in testa - riappare nella ‘località dei furbetti’ in veste di
azionista.
Prevede
di ampliare l’edificazione e propone standard abitativi per la classe
media con tre, quattro e cinque stanze per ben 8.800 appartamenti. Nel
circondario sono previsti market, giardini, uffici, cliniche, e una moschea. Tutto
realizzato dalla ditta di costruzioni Wardak (di Nabizada o Abdul Bari), con la
supervisione e la garanzia economica di Ferozi. Avvio del progetto: 95 milioni
di dollari, cifra finale 900 milioni. Un business definito “molto prezioso” da
tal Zia Massud, consigliere speciale per il Buon Governo (proprio così…).
Prezioso sembra esserlo per costruttore e finanziatore: la vendita giungerebbe
a 1000 dollari a metro quadro, invece dei 400 realistici; il governo
intascherebbe solo 50 dollari a metro quadro. Eppure gli apparati statali
lodano la presenza di Ferozi come il positivo segnale di recupero di centinaia
di milioni di dollari scomparsi dalla circolazione anni addietro. Quelli che i
rumors indicano come denaro legato agli azionisti della Kabul Bank. Di fatto si
reintroducono, sotto forma d’investimento edilizio privato, milioni di dollari
sottratti alla banca, e si permette nuovamente di specularci su.
Eufemisticamente
il governo lo definisce “un meccanismo d’incoraggiamento”, Ferozi fa
il bravo sostenendo che pagherà le tasse e il ministero intascherà 75 milioni
di dollari. Eppure uno dei punti della linea anticorruzione dell’attuale
presidente Ghani metteva in primo piano il caso della Kabul Bank e dei suoi
attori, che avevano direzionato parte della liquidità sparita verso aziende
controllate da loro stessi. Esempi illuminanti sono la Pamir Air, compagnìa
aerea di cui Farnood è tuttora presidente, che intascò 89 milioni di dollari
dal saccheggio. Mentre la Gas Group, acquisita dal citato Hassin Fahim, ne
incamerò 121 milioni e continua a
ricevere commesse dall’attuale esecutivo per i rifornimenti statali. Insomma il
governo, tramite il ministro dello sviluppo urbano Naderi e il consigliere
legale Muhammadi, sotto la maschera del pragmatismo che privilegerebbe il
recupero del denaro, si fa beffa di qualsiasi rispetto della legalità. Come nel
passato: porte aperte al denaro sporco e ai truffatori d’ogni risma per un
Afghanistan che non deve cambiare.
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