Successione spinosa e sanguinaria - Nei giorni immediatamente successivi alla sua fresca nomina
a capo dei talebani, più o meno ‘ortodossi’, Ahktan Mansour ha ripetutamente
dichiarato di voler seguire le orme tracciate dal mitico mullah Omar. E ha
seminato dubbi sul processo di pace ricercato dalla presidenza Ghani, ribadendo
il desiderio di concentrarsi sull’incremento della Sha’ria e del sistema
islamico piuttosto che su colloqui di pace “a ogni costo”. Negli annunci
ripresi dall’agenzia Reuters e dall’emittente
Al Jazeera Mansour ha esposto con
enfasi che “non possiamo dimenticare il
sangue di generazioni di mujaheddin, perciò dobbiamo lottare fino alla vittoria. Le nostre
divisioni fanno solo piacere ai nostri nemici”. Principali destinatari del
messaggio due potenziali rivali: Siraj Haqqani, uno dei cinque figli del
defunto Jalaluddin che altre fonti considerano non più avverso, e lo sheikh
Rehmatullah. Con loro vari comandanti del satellite talebano sostenevano l’idea
d’un successore per linea parentale, individuato nel giovane mullah Yaqub, figlio ventiseienne di Omar. Seppure
bollato d’inesperienza, poteva essere invocato come nuovo leader proprio dalla dissidenza che alligna fra
taluni membri della Shura di Quetta.
Attentati e ipotesi di morte - Invece da tre giorni a questa parte l’ipotesi del figlio
celebre è svanita. Yaqub sarebbe stato ucciso in una delle esplosioni
verificatesi a Quetta nel fine settimana. Una di esse è stata rivolta anche al
convoglio che trasportava Mansour che, secondo quanto riferito da Tolo tv, risulta scampato alla morte. L’attacco
è avvenuto nell’area di Chaman, che confina con la grande provincia afghana di
Kandahar, lì il neo leader dei Taliban s’è recato per stabilire accordi con tre
importanti guide religiose. Eminenza grigia di Chaman è il mullah Razzaq, che
s’era apertamente opposto alla nomina di
Mansour come riferimento per la politica futura dei turbanti nella regione. Anche
un deputato e capo talebano vicino a Mansour, Haibatullah Noorzai, è finito in un
agguato andato a vuoto, lo sparatore originario del Beluchistan, è stato
arrestato dalla polizia pakistana. Se le notizie che gli stessi organi locali
riportano col condizionale venissero confermate l’evidenza d’uno scontro,
accanto a un’ampia spaccatura nei ranghi talebani, risulterebbe palese,
introducendo lo spettro d’una nuova guerra fra bande. Ma non c’è da escludere
che fra le tante deflagrazioni ci sia anche lo zampino dell’Intelligence di
Islamabad. La biografia di Mansour, cinquantenne del distretto di Kandahar
formatosi in una madrasa pakistana della provincia di Pakhtnkhawa, vanta un
pedigree di combattente antisovietico.
Carriera fra i turbanti - Ma
è il 1995, quando l’Afghanistan era lacerato dal conflitto interno fra i
Signori della guerra, che Mansour iniziò un’ascesa verso i vertici talebani,
entrando nel gruppo fondato dal mullah Omar e ponendosi al centro d’una fitta
attività organizzativa. Notato per queste doti venne cooptato per la dirigenza
e durante i cinque anni di governo Taliban a Kabul (1996-2001) finì a dirigere
il ministero dell’aviazione civile. Dopo la cacciata talebana a opera delle
truppe Nato e l’uccisione del mullah Osmani (2006) e del mullah Akhund (2007)
il rango dirigente di Mansour è salito ponendosi nella scia del, fino a quel
momento, indiscusso Omar tanto da
esserne considerato dal 2010 il collaboratore più stretto. Poi, alla morte del
monocolo avvenuta nella primavera 2013 ma non annunciata, ha mostrato capacità
di tenuta d’un gruppo che evidenziava crepe e volontà disgregatrice. Il mancato
annuncio della dipartita di Omar doveva evitare quelle lotte intestine che ora
riemergono con violenza e coinvolgono lo stesso Mansour, sia con tentativi di
uccisione sia con sospetti che l’additano quale ispiratore d’un complotto che
avrebbe assassinato il fondatore del movimento talebani. Ora che è nell’occhio
del ciclone di voci e accuse tendenziose Mansour, pur favorevole ai colloqui di
pace va a metterli in dubbio per non prestare il fianco a quel fondamentalismo
che punta già a disarcionarlo.
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