Stupore
d’Africa -
Otto miliardi e mezzo di dollari, più altri cinque per la revisione entro il
2023, e il tratto del nuovo Canale di Suez che amplifica la portata e il passaggio
di navi e merci, è stato realizzato in uno anziché tre anni di lavori. Tempo
giudicato sorprendente dallo stesso segretario della Camera di Navigazione
Internazionale Peter Hinchliffe, figurarsi dalla stampa locale che ne divulga
entusiasticamente l’apertura di giovedì 6 agosto come un vero regalo
dell’Egitto al mondo. Il miracolo è frutto dell’impegno con cui il presidente
Al Sisi ha preso a cuore l’impresa, con essa il Paese potrà vantare il rilancio
d’una modernizzazione che trova partnership in tanto Occidente, Italia in bella
vista. Oltre alla propaganda di ritorno per il regime, che ha gravissimi
problemi di sicurezza interna, c’è un interesse diretto del business militare,
ampiamente nutrito col controllo di transiti e dogana nella nota via mercantile
dal Mediterraneo al Mar Rosso. Non si conoscono le cifre, si vagheggia di
miliardi di dollari, che lo stesso attuale ministro dell’industria Mounir
Fakhry Abdel Nour (di recente presente all’Expo milanese) non ha voluto
quantizzare. Le aziende controllate dalla lobby delle stellette vantano diritto
di confisca di terreni lungo il percorso, mentre le ditte che s’appoggiano al
Consiglio Supremo delle Forze Armate godono di tariffe preferenziali e
investimenti sgravati da oneri fiscali. Chiacchierate per il versamento
tangenti durante l’era Mubarak sono tuttora esentate da revisioni contabili.
Forse avrebbero lavorato anche sotto il governo islamico, egualmente
interessato al progetto d’un Canale ampliato, che avrebbe visto giungere
finanziamenti dal Qatar. Non ce n’è stato il tempo.
Benefici
economici, malefici ambientali - Ma gli analisti anti Fratellanza sostengono che
in un’ipotesi del genere il clan aziendale dei generali sarebbe stato fatto
fuori. Congetture a parte nel gennaio del 2014 il vice ammiraglio Mohab Mamish
ha assunto il controllo della preposta “Autorità del Canale di Suez”,
scegliendo le aziende straniere e locali che hanno sviluppato i lavori. I
petrodollari sono giunti comunque dal Golfo, in questo caso dalla casa Saud,
protettrice d’ogni mossa del generale Sisi, e dagli Emirati Arabi Uniti
(quest’ultimi, con 40 miliardi di dollari, finanziano un’ulteriore iniziativa
di propaganda del regime militare: le case per la gioventù d’Egitto). Company
statunitensi, olandesi, belghe hanno lavorato ventiquattr’ore al giorno
all’ampliamento del bacino di Suez con ritmi cinesi ed efficienza nipponica. 21
miglia di nuovo canale sono stati scavati nel deserto, 22 miglia d’un tratto
preesistente risultano adattati al passaggio di scafi di maggiore stazza, che
ammonteranno dal 2023 a un centinaio di navi giornaliere (ora ne passano la
metà), undici ore il transito per giungere da Port Said a Suez. Tutto ciò è
stato sottolineato con orgoglio da committenti ed esecutori. Eppure scienziati
e ricercatori lanciano un allarme, perché negli ultimi quarant’anni s’è
verificato un cospicuo incremento di creature marine non indigene nel
Mediterraneo. Delle 700 tipologie individuate dall’apertura del canale - realizzata
dalla compagnìa francese diretta da Ferdinand de Lesseps nel decennio compreso
fra il 1859 e il 1869 - oltre la metà provengono da migrazioni dal mar Rosso. Molte
di queste specie risultano nocive per l’habitat e minacciano la salute, mentre altre
fagocitano famiglie ittiche nutrienti per la catena alimentare umana. Noto,
perché studiato da varie Università, il caso del lagocephalus sceleratus (nomen omen) ha attirato l’attenzione dei
ricercatori per l’alta percentuale tossica (tetrodotoxin) presente nelle sue
carni se consumato. Poi ci sono pesci erbivori che devastano i fondali di alghe
e gigantesche meduse (rhopilema nomadica)
che non permettono alcuna attività balneare negli spazi di mare infestati.
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