Se ne stanno arruffati come vecchi, invece non
arrivano a venti e trent’anni. Un’infinità sono bambini. Sfiniti restano
imbambolati dentro e fuori quelle staccionate, i fili di recinzione che
delimitano squallidi spazi d’emergenza. Costretti a condividerli coi rifiuti,
sotto un rutilante sole picchiettato di mosche e zanzare. Solo gli occhi vagano
fra cielo e polvere. Il numero di profughi siriani e afghani approdati fino a
tutto luglio a Lesbo, isola vacanziera greca a ridosso delle coste turche, ha
superato le centomila unità. Su quelle spiagge gli scafisti vanno e vengono. Scaricano
corpi sviliti in un’acqua, fredda anche ad agosto, attrattiva solo per i
bagnanti più nordici. Stavolta costoro non possono non accorgersi degli sbarchi,
ce ne sono a decine. Ovunque, anche sotto il proprio resort. Le penose scene
raggiungono Petra e l’ascosa Molyvos dove la costa turca è a un soffio, quattro
miglia scarse. A giugno sono arrivati 15.200 contro i 920 dell’anno scorso. Ovviamente
parliamo di rifugiati. I turisti anche quest’anno non mancano nell’oasi delle
isole elleniche, un mondo a parte rispetto alla madrepatria strangolata da
crisi e Troika. La Lesbo di Saffo e Alceo, non fa eccezione.
Certo nulla a che vedere col plastificato e
costoso divertificio di Mykonos, ma pur sempre meta di pantaloncini ed
espadrillas, con qualche griffe. L’isola è da tempo anche proscenio di odiseee che
mescolano speranza e disperazione. Sei anni or sono, uno dei centri di
“accoglienza” istituiti dall’amministrazione ellenica col contributo della Ue,
venne contestato come lo erano i nostri Cie. L’accusa: essere un luogo di
reclusione e frustrate più che di ospitalità e dignitoso recupero. E i flussi
del 2009 erano un’inezia rispetto all’invasione che si sussegue da mesi, sempre
in crescente emergenza. In questi giorni qualche turista ha dismesso il bikini
e indossato la pettorina del volontario, distribuendo crackers e bottiglie
d’acqua, rinunciando al privilegiato diritto di relax per scrutare gli occhi di
chi s’infila nella roulette russa della migrazione cieca. Qualche turista, mica
tanti. Perché ciascuno si sente lontano da colpe sull’esistenza grama del
profugo che solo il possibile miracolo in un altro pezzo di mondo potrebbe
salvare. E’ abbastanza grande Lesbo per contenere drammi e sostenibile
leggerezza. E’ il mondo che risulta stretto a chi chiede solo un permesso. Non
di soggiorno, ma di vita.
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