Nel turbinìo orrifico delle notizie
mediorientali una nota di cronaca sanitaria (l’operazione alla prostata per
tumore di Ali Khamenei, da venticinque anni Guida Suprema iraniana) produce una
certa agitazione all’interno di quella grande nazione. Paese ora ‘riabilitato’
dalla real politik statunitense e invitato sulla scena interventista contro i jihadisti dell’Isis,
per possibili battaglie di terra dei propri Pasdaran. Un’idea, poi messa da
parte da altre congetture che lo staff politico-militare di Obama impartisce a
flussi alterni. La proposta ipotizzata potrebbe rientrare in uno scambio di
favori la cui contropartita è una posizione più morbida verso il nucleare di
Teheran, ovviamente a uso civile, che finora alcuni (Usa, Gran Bretagna,
Francia, Germania) dei famosi 5+1 avevano limitato, imponendo ristrettezze e
penalizzazioni con tanto di embargo di prodotti e ampio nocumento alla popolazione
iraniana. Insomma al diplomatico Rohani non mancano scottanti questioni da
affrontare. Ma ora il piano per una successione a Khamenei irrompe nell’agenda
nazionale, coinvolgendo la sfera religiosa che il velayat-e faqih rende ampiamente politica.
Il ruolo di altissimo prestigio, e di non
nascosto potere, che concerne la carica di Guida Suprema, è scritto nelle
vicende iraniane dell’ultimo trentennio. Con tanto d’incontri e scontri fra le
anime tradizionaliste, riformiste e rivoluzionarie del clero sciita. Non è un
segreto che Khamenei non fosse il prescelto per rivestire quella carica. Lo
sopravanzava per cultura teologica e attinenza alla via da indicare al proprio
popolo l’ayatollah Montazeri, vicino al Khomeini nel periodo della predicazione
e opposizione contro il regime dello shah e poi durante l’esilio del Rahbar. A metà degli anni Ottanta
Montazeri divenne anche presidente dell’Assemblea degli Esperti. Però nel
periodo durissimo e pieno di privazioni della guerra contro l’Iraq, il minuto
ayatollah criticò due scelte del grande leader: la continuazione del conflitto
e l’eccesso di punizioni, spesso capitali, contro i “nemici della Rivoluzione”.
Non perché Montazeri fosse un tenero, era addirittura a capo dell’Associazione
del clero militante, però leggeva l’inutilità d’un conflitto divenuto logorante
(che nel 1988 si concluse senza vincitori né vinti, ma con un milione di
vittime da parte iraniana) e la contraddizione della sanguinolenta scia delle
esecuzioni.
Un idealista pragmatico che fu costretto alle
dimissioni dall’Assemblea degli Esperti e rispedito a Qom agli arresti
domiciliari. Così resterà sino al 2003. Dopo la morte di Khomeini venne
sopravanzato dal pragmatico affarista Rafsanjani, per due mandati presidente
della Repubblica Islamica e dal carrierista Khamenei, Guida Suprema tuttora in
carica. Formatosi come molti mullah a Qom, anche quest’ultimo sosteneva
posizioni radicali delle teorie ‘marxisteggianti’ di Shariati che
sottolineavano l’importanza della sfera sociale, poi negli anni del conflitto iracheno
le abbandonò orientandosi verso posizioni tradizionaliste. Fu l’ala
conservatrice dell’Assemblea degli Esperti a sostenerne il durevole incarico. Ora
che la salute potrebbe metterlo anzitempo da parte la sua sostituzione potrebbe
diventare un complesso busillis. Perché farebbe irrompere, nella caotica fase politica mediorientale, lo scontro fra
le componenti del clero iraniano oggi meno rivoluzionarie, ma molto
tradizionaliste e parzialmente riformiste. Se si prende come specchio l’elezione
presidenziale d’un anno fa, Rohani presentato come un riformista, è
concretamente un esponente del clero moderato.
Il tempo ha fatto il suo corso sugli ayatollah più
celebri e anche i Montazeri, Shirazi e altri non ci sono più. Inoltre occorre
verificare l’attuale influenza di quelle correnti che sono state definite
fondamentaliste, tradizionaliste, moderniste. Per taluni esperti d’Iran un
candidato alla successione potrebbe risultare Hashemi Shahroudi, in questi anni
vicino a Khamenei stesso. Sarebbe un passo stabilizzante nel segno della
continuità. Un’altra ipotesi è quella di Sadegh Larijani, che ha dalla sua il
casato, essendo il fratello dello speaker parlamentare Ali. Su di lui due note:
quella negativa riguarda un’età giovanile (42 anni) per rivestire i panni di
Guida Suprema, quella positiva è che riceve il benestare del potentissimo
partito delle Guardie della Rivoluzione. Comunque l’età di Larijani junior è
solo un parziale handicap, perché fra l’establishment prevale il senso pratico
di non affidare il centrale ruolo a un soggetto eccessivamente anziano, per non
doverlo sostituire a breve. Non s’esclude una soluzione che guarda al passato.
Proprio dopo il decesso di Khomeini, prima che Khamenei lo rimpiazzasse, s’era
ventilata l’ipotesi d’un consiglio di giureconsulti, una direzione collegiale, formato
da un manipolo di chierici, non dall’intera Assemblea degli Esperti. Allora non
se ne fece nulla, magari potrebbe accadere.
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