L’outsider - S’intrufola fra i due nomi
più in vista degli undici pretendenti al dopo Karzai: Abdullah Abdullah, Ashraf
Ghani. Candidati che fanno meno paura dei warlords Rassoul Sayyaf e Agha
Sherzai, ma che hanno serie chances di giocarsi il ballottaggio. Il primo, già
ministro degli esteri e oppositore del presidente uscente nella caotica
elezione 2009 inficiata da brogli e contestazioni, un politico che può perché conserva
una personale rete relazionale interna ed esterna. E Ghani, tecnocrate al
servizio della Banca Mondiale, organismo che lo accredita enormemente fra le
diplomazie internazionali. L’outsider è Nadir Naim, giovane dal sangue blu, il
piccolo principe che sogna e fa sognare una parte del Paese. Nipote della
principessa Mariam, figlia del sovrano deposto nel 1973 e rientrata in patria
nel 2003, dopo oltre un ventennio d’esilio in Gran Bretagna. Perché Nadir si
getti in un agone così ostico è annunciato così dai suoi portavoce: “per
dare al nobile popolo afghano una vita pacifica e dignitosa”. Un vero
straniamento rispetto ai venti di guerra presenti da oltre trent’anni che non
sono destinati a placarsi.
Il sostegno d’una maggioranza silenziosa - Eppure
fra i commenti ricevuti c’è chi l’accredita d’un seguito tutt’altro che
secondario fra una maggioranza silenziosa di mercanti e un ceto sia borghese,
sia minuto. Gente che vuole guardare oltre l’orizzonte finora conosciuto della
protezione offerta dai vari Signori della guerra padroni di tante province. Il
programma elettorale del principino, che comunque rispetta l’assetto della
Repubblica Islamica evitando qualsiasi velleità di ripristino della corona, batte
sul tema etnico, croce e delizia della nazione. Una visione afghana per tutti
gli afghani, dal maggioritario gruppo pashtun (42%) ai tagiki (27%) sino a
uzbeki e hazara (entrambi al 9%). Così dopo quattro anni di contatti informali
con la popolazione in uno stentato dari, ora mostra migliorate capacità linguistiche
e comunicative, non prive d’un aristocratico glamour. Roba da fiction per Tolo
Tivù, sostengono i critici che lo dipingono come un elemento fuori dalla realtà
nazionale, interessato unicamente ad anteporre a tutto rango e status
familiari. Lo staff del principe ribatte che, differentemente dai costumi
corrotti che vedono ciascun candidato impegnato nella compra-vendita del voto, la
sua politica ha un respiro ampio che punta al rilancio pacifico dell’economia.
Parlare col diavolo - Comunque
a sorpresa, un servizio televisivo ha svelato che Naim ha appreso la lezione di
real politik infilando un uno-due: ha cercato alleanze addirittura col demone
talebano, nella componente che esclude il boicottaggio preventivo delle
presidenziali e “patteggia” coi candidati. E s’è consultato con un noto
jihadista, ma non ha rivelato chi, che gli ha riconosciuto possibilità legate
al fattore nostalgìa, presente anche fra certi discendenti di clan tribali che
rammentano il pacifico periodo del regno di Zahir Shah. In un impeto
nazionalista Naim ha anche ricordato uno zio, Daud Khan, primo presidente
afghano spodestato da un’azione armata comunista, ma mai arreso ai golpisti.
Però non ha detto che Daud stesso aveva abbattuto la monarchia con un suo colpo
di mano. I critici del nipote rampante lo invitano a studiare un po’di storia
patria e della sua stessa famiglia. Usare entrambi i riferimenti parentali può
diventare un boomerang poiché il re era un modernista che credeva nella
democrazia, Daud un progressista a parole ma nei fatti si dimostrò un
dittatore. Non l’unico, vista la via seguìta da successive operazioni solo
mascherate da democrazia. Il doppio mandato di Karzai è stato l’esempio più
gradito al nuovo occupante occidentale. Un modello che cerca un prossimo
attore, blasonato od outsider che sia.
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