Nei pronunciamenti pubblici, nelle interviste che hanno iniziato a concedere a diversi media internazionali i ‘ragazzi anti Hasina’ parlano di “cancellazione del sistema fascista di governo” e dell’immancabile “rivoluzione”. Concetti fortemente ideologici in un sistema internazionale che umilia qualsiasi riferimento alla mutazione dello stato di cose presenti. Eppure loro la vivono così la cacciata della dittatrice, quattro mandati consecutivi, più l’esecutivo degli anni Novanta per eredità politica, quella del suo papà e padre della patria Mujibur Rahman. Il più loquace è Asif Mahmud, attuale Ministro dello sport nel governo di transizione guidato dall’ottantaquattrenne già Premio Nobel Muhammad Yunus, indicato dai rivoltosi, accettato dai partiti storici, compreso l’ex governativo Amawi League e il nazionalista d’opposizione purché acquietasse le fiammate di piazza durate due mesi. Il neo premier è intervenuto a inizio settimana prospettando un impegno per ricomporre il Paese, spaccato proprio dalla polarizzazione di Sheikh Hasina. Non gli sarà facile convincere i protetti dall’ex primadonna riparata nell’India di Modi. Poche settimane prima era lei a definire teppisti gli universitari ribelli contro il sistema delle quote che inseriva automaticamente negli apparati statali gli epigoni della lotta per l’indipendenza del 1971. Accanto al privilegio che si faceva beffa di merito e capacità, la lady di ferro insinuava il presunto antipatriottismo dei contestatori. Li definiva amici dei pakistani, una bestemmia per ogni bengladese. Scarno nel fisico che potrebbe essere quello d’un maratoneta o d’un saltatore in alto il ministro Mahmud, forse non è così esperto di specialità atletiche, ma di giovani studenti sì. Viene dal campus di Dacca dove ha rintuzzato le aggressioni della League Chhatra, l’organismo giovanile dell’ex partito di governo scagliato paramilitarmente contro i rivoltosi.
Con la creazione, assieme ai suoi compagni, del ‘Movimento Studenti Antidiscriminazione’ ha espresso i presupposti per non disperdere la potenzialità dell’agitazione e convogliarla politicamente fuori dalla sfera dei partiti tradizionali, interessati alla gestione del potere, non alla trasformazione della società. E’ per cancellare il vuoto di futuro, ridurre lo spettro della disoccupazione che coinvolge circa venti milioni di giovani fra i 15 e i 25 che non studiano né lavorano e angoscia gli stessi suoi colleghi che dopo la laurea sono costretti (ma solo se la famiglia può pagargli la fuga) a migrare all’estero, che Mahmud e altri hanno formato lo spontaneo fronte anti regime chiedendo al ‘banchiere dei poveri’ di presiederlo. Una scommessa che sa di sogni paritari, emancipatori, una rivoluzione senza dittatura e contro i dittatori. Con Nahid Islam, che ha assunto la responsabilità dei Ministeri di poste, telecomunicazioni e informatica, Asif sostiene che si faranno da parte appena il governo provvisorio avrà raggiunto i primi obiettivi. Intanto è fra i più fotografati dei diciassette membri dell’Esecutivo-salva nazione. Eppure la notizia di questi giorni che il movimento pensi a trasformarsi in partito con cui affrontare in futuro i colossi nazionali, rimasti in questa fase a osservare gli eventi, confligge con gli intenti minimalisti del neo ministro dello sport. Certo è che la gioventù studentesca ribadisce i valori secolari e laici, ponendosi in netta antitesi con quell’eminenza grigia della politica interna che è Jamaat-e Islami. Partito filo-pachistano di per sé inviso ai bengladesi ma non al ceto storico. Proprio nei mesi scorsi prima delle elezioni vinte da Hasina, quest’ultima aveva ricevuto richieste di collaborazione dagli esponenti di quella formazione, decisamente minoritaria, comunque assai attiva. Li aveva ricevuti senza però stabilire accordi. Un gruppo spregiudicato visto che profferte simili le aveva rivolte anche al Partito nazionalista. Chiunque avesse vinto le elezioni era nel mirino degli islamisti del Jamaat, loro sì profondamente ideologici nella diffusione d’un fanatico wahhabismo.
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