Non finisce mica la conflittualità in Bangladesh. I rivoltosi muoiono ancora in strada sotto il piombo della polizia, ma cominciano a portarsi dietro i loro repressori. Le notizie odierne delle agenzie riferiscono di settanta vittime a Dacca e nei distretti settentrionali (Bogura, Pabna), meridionali (Barisal, Femi) e a Magura nell’ovest, tredici sono agenti delle forze dell’ordine attaccati in una centrale della città di Sirajgani che è stata data alle fiamme. I manifestanti uccisi dall’inizio della protesta nel mese di luglio sono oltre duecento, sebbene il governo della contestatissima premier Hasina, tende a non riferire dati. Non solo. Nei suoi ultimi interventi, mai stati teneri verso le proteste rivolte contro le sue quote di posti garantiti ai parenti dei “combattenti dell’indipendenza del 1971”, ha sostituito il termine rivoltosi con criminali. Ritenendo i giovani e anche i meno giovani che ne criticano l’operato semplicemente dei teppisti. Oltre all’interruzione dei collegamenti internet, nelle ultime tre settimane il Paese sta conoscendo un’ondata di arresti, mai stati così numerosi. Alcune agenzie asiatiche li calcolano fra le undicimila e dodicimila unità. Accanto alla componente dei senzapartito sono in piazza gli stessi attivisti del Partito Nazionalista, oppositore istituzionale della Lega Awami, il gruppo della premier. Chi è sul luogo ribadisce la determinazione dei manifestanti a non mollare, pure davanti al rischio di finire passati per le armi. “Hasina deve dimettersi” è la parola d’ordine e la gente non recede anche di fronte al coprifuoco imposto non solo nelle ore serali e notturne. Così di fatto anche le attività lavorative risultano in difficoltà, per la limitazione dei movimenti e della circolazione. Una specie di gruppo d’orientamento della protesta che fa capo agli universitari, i primi a lanciare il boicottaggio, invita la popolazione a non collaborare col governo, a scioperare dov’è possibile, rifiutandosi di versare le tasse. Per parare il colpo l’esecutivo ha annunciato tre giorni di chiusura “festiva” fino a mercoledì, ma la mossa potrebbe risultare favorevole ai contestatori. Gruppi internazionali di attivisti dei diritti umani accusano Hasina di abuso politico e istituzionale “Sta tenendo in ostaggio la nazione, deve andarsene”. Lei non ci pensa affatto e incrementa il numero dei reparti antisommossa.
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