Non punta più l’indice contro tutto e tutti, non può più farlo. La premier bangladese Sheikh Hasina si lascia dietro macerie sociali e oltre trecento morti. Fugge con la sorella per un luogo sicuro, che resta al momento segretissimo e lontano dalla terra d’origine che l’aveva vista agguantare la politica e il potere per quattro mandati consecutivi. Non si fidava neppure delle squadre antisommossa scatenate nell’ultimo mese contro manifestazioni inizialmente pacifiche, diventate dopo i primi ammazzamenti di strada montanti e violente. Aveva impressionato a metà luglio la morte in diretta di Abu Sayeed, colpito in pieno petto da una gragnuola di proiettili di gomma che gli avevano procurato il decesso per emorragie interne. Dopo di lui a decine gli universitari e altri giovani sono stati stroncati dalla repressione cieca voluta da Hasina, che dell’azzeramento della protesta “anti quote” ne faceva una questione d’onore. Stamane i manifestanti le sono entrati in casa, nel palazzo Ganabhaban residenza ufficiale del governo, mentre lei s’era già allontanata, e la polizia tollerava l’invasione a patto che si evitassero devastazioni. Alcune voci sostengono che l’anziana leader sia riparata in India, non si sa se accolta da Modi, comunque indietro non può tornare. Il generale Uz-Zaman a nome delle Forze Armate assume il momentaneo controllo della piazza, promettendo che le stesse non apriranno il fuoco, come invece fatto per settimane dalla polizia. L’intento è quello di sedare gli animi puntando alla formazione d’un governo ad interim. Ma le decine di migliaia di contestatori che hanno marciato sulla capitale, France Presse calcola fossero oltre 400.000, non sembrano disposti a farsi pilotare dall’esercito, seppure armato, sebbene tanti ex militari strizzino l’occhio ai rivoltosi. Né questi si fidano dei partiti d’opposizione, soprattutto il Partito nazionalista che negli ultimi giorni ha mobilitato i propri attivisti. Nelle dichiarazioni strappate ai giovani festanti e inorgogliti dal rovesciamento di quello che definivano un regime traspaiono determinate volontà. Il protezionismo di cui godono settori protetti dal ceto politico cui apparteneva la premier dileguata, dev’essere cancellato; il mercato del lavoro dev’essere aperto agli strati marginalizzati. Da parte sua l’Onu chiede la cessazione d’ogni violenza, mentre occorre capire cosa faranno i poteri forti della finanza globale, come il Fondo Monetario Internazionale che per decenni ha foraggiato Hasina e il suo populismo contrario a una bella fetta del suo popolo.
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