martedì 9 marzo 2021

La Russia s’impossessa del processo di pace afghano

Mosca, che nei mesi scorsi aveva già creato un tavolo di colloqui parallelo, potrebbe sostituire Doha nella ricerca d’una concreta via di pacificazione della questione afghana. O almeno tentarci. In questo ruolo il ministro degli Esteri Lavrov è un volpone di lungo corso, peraltro da anni in servizio permanente effettivo alla corte del potere putiniano. Senza togliere meriti al lavoro di Khalilzad, il diplomatico statunitense d’origine afghana che ha diretto finora le trattative nell’Emirato qatarino, quest’ultima situazione è logorata da un palese blocco. Alla firma bilaterale fra Stati Uniti e delegazione talebana non è seguita l’applicazione di quanto pattuito: cessazione degli attacchi dei turbanti contro l’esercito di Kabul e ritiro completo delle truppe Nato. Certo, il limite ultimo è posto al 1° maggio, ma quel che maggiormente preoccupa e dimostra l’attuale impotenza del negoziato, è stata la seconda fase, definita colloqui inter-afghani. Questi sono stati finora diretti da Abdullah Abdullah, ex vicepresidente afghano, ora rappresentante dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale. Ma i veti fra lo staff del mullah Baradar che non ha mai voluto incontrare il presidente Ghani, e gli uomini di quest’ultimo come il vicepresidente Saleh che disdegnavano di riconoscere un futuro politico ai taliban, hanno creato un susseguirsi di sedute infruttuose, incapaci di decidere quale gruppo politico o coalizione costituirà il domani governativo nei travagliati territori. 
 
Fra nove giorni a Mosca si dovrebbe partire da qui. E pare che la diplomazia russa riesca, perlomeno come premessa a mettere uno davanti all’altro i contendenti riottosi: l’attuale Esecutivo afghano e gli studenti coranici. La conferma definitiva verrà nelle prossime ore, però il portavoce di Abdullah ha annunciato a Tolo tv che dopo le insistenze russe l’Alto Consiglio sta pensando d’intervenire ufficialmente, riconoscendo agli ospitanti “un’importantissima funzione nell’odierna fase delle trattative”. Sebbene fonti governative della capitale afghana ricordino che questo fronte non sarebbe alternativo a quello di Doha, visto che è concordato con gli Usa, c’è da credere che la regia degli incontri  operati dal Cremlino seguano logiche diverse da quelle dettate dalla Casa Bianca. Comunque osservatori americani, come pure cinesi e pakistani, saranno presenti in quella sede. Trapelano anche note sulla contromossa del Segretario di Stato americano Blinken che “suggerisce” a Ghani di rilanciare il dialogo con un meeting in Turchia sotto l’egida dell’Onu. Sul tavolo almeno i punti nodali del blocco delle violenze e del ritiro delle truppe - un confronto aperto, soprattutto coi pesi massimi che influenzano l’area: Russia, Cina, Pakistan, Iran, India.  
 
In più Blinken invita i fedeli alleati kabulioti di formulare assieme ai talebani una mappa per stabilire i princìpi fondamentali d’una rinnovata Costituzione e i preparativi d’un futuro governo. Facile a dirsi e non a farsi, visti i menzionati presupposti dei due schieramenti. Al di là dei contenuti della costituenda Costituzione, che per quanto s’è udito non riuscirebbero ad avvicinare il fondamentalismo di varie sponde (dunque non solo talebano) alle  visioni di ‘democrazia borghese’ presenti fra alcuni rappresentanti etichettati come società civile, la mossa del neo Segretario di Stato cerca di riaprire al suo Paese lo spazio geopolitico asiatico che altra diplomazia (russa, cinese, turca) ha elaborato nel quadriennio trumpiano. Blinken tira per la giacca Erdoğan, conoscendone interessi, bisogni, smanie vuol renderlo compare in quest’iniziativa. Difficilmente lo scaltro presidente turco l’ascolterà. Da oltre un anno fra lui e Putin s’è aperto uno stato di tregua sempre meno armata. Dopo la maretta in Libia, neppure la guerra lampo armeno-azera è riuscita a incrinare le relazioni che filano per spartizioni d’interesse reciproco sugli scenari siriano, libico e del Mediterraneo orientale, caucasico. Se anche Cina, India, Pakistan accetteranno di sedersi al costituendo tavolo di Mosca, al quale si dà per scontata la presenza iraniana, l’amministrazione Biden dovrà piegarsi alle conseguenze dei ritardi americani, oltreché del suo disastroso ventennio afghano.

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