venerdì 26 marzo 2021

Biden-Baradar, annunci incrociati sulla pelle degli afghani

L’accordo di Doha rappresenta la logica strada per ottenere la pace, non rispettarlo o violarlo da parte americana significherà fare i conti con la “guerra santa” per liberare il Paese”. Questo l’avvertimento che il portavoce della delegazione talebana, presente da mesi in Qatar, lancia al presidente statunitense Biden, forse - sostengono i taliban - “esposto a consigli imperfetti e istigazioni da parte dei circoli guerrafondai”. E’ un’affermazione di parte, che dovrebbe, però, essere presa seriamente dalla nuova amministrazione di Washington che invece, per bocca dello stesso presidente, ha anteposto “ragioni tattiche” per un possibile slittamento della scadenza del ritiro, lanciando nell’intervento pubblico di ieri un sibillino: “Ci ritireremo, vedremo quando. Non è mia intenzione rimanere, la questione è come e in quali circostanze applicheremo un accordo voluto dal presidente Trump”. Da parte su il Segretario di Stato Blinken sul tema chiosava: “Se lasceremo, lo faremo in modo sicuro e ordinato”. Che i diciotto e più mesi spesi attorno al tavolo di trattative diretto dal negoziatore Khalilzad possano non portare a nulla è il rischio con cui si misurano le due delegazioni che si rinfacciano il mancato rispetto di quanto pattuito: gli americani ondivaghi sul ritiro, gli studenti coranici non rispettosi del cessate il fuoco. Ma i primi fanno questioni di lana caprina su chi precedentemente ha stabilito la data del prossimo maggio, i secondi affermano che i propri attacchi non colpiscono soldati Nato, bensì le truppe afghane da essi considerate al servizio d’un governo fantoccio. I talebani hanno promesso di non offrire rifugio e sostegno a gruppi terroristici come Al Qaeda, ma da tempo le milizie che praticano attentati afferiscono allo Stato Islamico del Khorasan, e sono dunque altra cosa. Ciascuna delle parti che intende “pacificare” il Paese segue un percorso lineare, che però s’è arenato e rischia di bloccarsi, ancora una volta per il dramma della popolazione che quotidianamente resta esposta alla violenza che colpisce alla cieca, e che potrebbe addirittura aumentare se i taliban rilanciassero apertamente una nuova Jihad. Costoro hanno più volte sottolineato come nei mesi scorsi l’aviazione statunitense, intervenendo a difesa dell’Afghan National Army ha anch’essa usato la forza, colpendo villaggi e civili e seminando morte. Nei colloqui inter-afghani, in cui i turbanti si sono rifiutati d’incontrare il presidente Ghani al quale non riconoscono alcuna autorità, hanno ribadito che l’unico strumento per impostare un prossimo governo è l’applicazione d’una legislazione islamica. Nei quattro incontri svolti nel corrente mese di marzo il dibattito fra le delegazioni non ha mostrato progressi. E tanto è.  

 

 

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