Sempre caldissima la situazione nel braccio di mare e di terra a ridosso
dello Stretto di Hormuz da dove - dopo l’attacco del 13 giugno a due petroliere
prodotto da mine poste in acqua e per il quale la Casa Bianca ha accusato
direttamente la struttura militare iraniana dei Pasdaran - stamane giunge la
notizia dell’abbattimento d’un drone statunitense. Precisamente volava sopra il
distretto di Kouhmobarak, sulle coste meridionali iraniane prospicienti in
braccio di mare incriminato. Come riporta l’agenzia iraniana Irna l’aeromobile era un modello RQ-4
Global Hawk e transitava sullo spazio aero interno. Invece una voce
statunitense raccolta dalla Reuters
smentisce su tutti i fronti: lo spazio aereo sarebbe stato internazionale e il drone
un US Navy MQ-4C Triton. Al di là di dettagli e affermazioni contrapposte la
situazione in quell’area geografica, trafficatissima nel trasporto energetico e
non solo, sta diventando un caso di tensione geopolitica non di poco conto che
il presidente Trump, impegnato nel lanciare la lunga volata elettorale per una
sua amministrazione bis, potrebbe usare per i prossimi mesi. Così i contrasti
fra Washington e Teheran aggiungono un ennesimo elemento, rinfocolati come sono
già da mesi dalle mosse del primo cittadino d’America.
Il suo rilancio dell’embargo alla Repubblica
islamica iraniana, cui quest’ultima rispondeva per le rime sentendosi
svincolata dal famoso accordo denominato cinque più uno (dal numero delle
nazioni firmatarie) e ripristinando l’arricchimento dell’uranio, rappresentano
fattori di ostilità che riaccendono i già tesissimi rapporti fra i due Paesi. Sull’episodio
del drone un comunicato dell’Iran Supreme National Security ribadisce che la
difesa dello spazio aereo rappresenta una linea rossa che non può essere
violata per qualsiasi ragione e riceverà adeguate risposte. Quel sorvolo può
risultare voluto e provocatorio, e chi conteggia colpi e contraccolpi lo mette
in relazione al missile lanciato ieri in terra saudita contro un impianto di
desalinizzazione. Gli autori sarebbero i miliziani dalla minoranza Houthi, la
fazione sciita che comunque raccoglie il 44% della popolazione e che da quattro
anni anima la guerra civile in Yemen col sostegno iraniano. Sull’altro fronte è
noto non solo l’impegno diretto della monarchia di Riyadh nella repressione dei
rivoltosi, ma un recente dispiegamento nell’area di truppe statunitensi in
appoggio ai lealisti di Sana’a. Accanto
a un migliaio di marines, le portaerei della Quinta flotta di stanza nel Bahrein
hanno scaricato un buon numero di batterie di missili Patriot. Il motivo è
antico, come gli argomenti della Guerra Fredda e la ‘Dottrina Eisenhower “la
difesa degli interessi americani nella regione”.
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