martedì 5 marzo 2019

L’Algeria della speranza contro i troppi tradimenti



Giovani, e anche no. Le piazze di tutto il mondo sono prevalentemente giovanili, ancor più nel Maghreb dove le ragazze e i ragazzi sono tanti e disoccupati Ma le vie di Algeri, Orano, Sétif, Costantine e di altri centri minori in questi giorni si riempiono di più generazioni, che se superano i venticinque anni hanno fatto i conti con l’orrore. L’orrore della guerra civile dei Novanta, delle gole squarciate, dei corpi smembrati da esplosioni la cui mano è conosciuta o presunta, delle sparizioni private del ritorno e delle spoglie. E’ il terrore fratricida che ha spezzato un Paese che voleva voltar pagina e vedeva l’Islam politico inizialmente misurarsi coi numeri del consenso, impedito dalla “democrazia delle divise” che mai ha fatto i conti con la democrazia dell’alternanza. I testimoni del furore storico della Liberazione che s’erano misurati, a rischio della vita, coi parà del colonnello Mathieu (la ricostruzione filmica più fedele alla realtà) quelli che torturavano l’indomito spirito d’indipendenza popolare, si stanno estinguendo per limiti d’età. Sebbene a battaglia d’Algeri finita il tramonto delle speranze della nazione c’era già stato, con l’egualitarismo terzomondista di Ben Bella che cedeva il passo al militarismo del ‘clan di Oujda’. E il volto d’Algeria s’è sempre più distanziato dai suoi Ali La Pointe, immedesimandosi e subendo i Boumédiène e i Bouteflika.
Quest’ultimo, prima d’imbalsamarsi al potere, era stato per tutti gli anni Sessanta e Settanta vicino al gruppo vincente, come giovane ministro degli Esteri, per poi sparire fra gli Ottanta e i Novanta, un po’ perché emarginato dall’apparato che rimpiazzava Boumédiène, un po’ per via di scandali e affari loschi che aveva condotto grazie alla forza del dicastero. Ma quando Bouteflika prende direttamente il potere nella veste di presidente d’un Paese lacerato dal sangue e affamato nonostante le risorse del sottosuolo, rivende in patria e nella fitta rete di relazioni estere (soprattutto con gli ex colonialisti di Francia) il ruolo di pacificatore, mentre si gingilla coi lustrini di combattente e diplomatico. Così dal Duemila la sua vita s’impreziosisce di questi tre vanti, oltre alla funzione di amico dell’Eliseo. Se dall’inizio del Terzo Millennio la scomposizione di quello che era stato il Medio Oriente - creato dalle smanie imperiali dei signori Sykes e Picot e parzialmente delle trame perdenti guglielmine e zariste - ha visto cadere e passare vari raìs con cui Bouteflika aveva rapporti (Saddam Hussein, Asad padre, Gheddafi), la rabbia del cambiamento che nel 2011 scuoteva Egitto e Tunisia sfiorò appena la nazione guidata e il nativo Marocco. Più che l’anziano e futuro presidente-disabile (nel 2013 Bouteflika venne colpito da un ictus che l’ha privato di parole e probabilmente pensieri) a programmare per corsi ci pensa la triade di potere: il fratello Said, il generale Salah, il capo dell’Intelligence Mohamad Mediène.
Ma si tratta d’una pianificazione monca vista la mossa autolesionista del clan che, rilanciando una candidatura non più spendibile, si ritrova le piazze in subbuglio. L’attuale protesta algerina non è rivolta solo al famigerato quinto mandato per le presidenziali del 18 aprile, si riagitano le stesse questioni sollevate dalle primavere del 2011: dignità, lavoro, democrazia contro la corruzione politica di caste, in buona parte militari, che accaparrano risorse per arricchimenti personali, beneficiando minoranze di cortigiani a danno della restante popolazione. Quello che accade, ad esempio, in Marocco, in Egitto e accadeva in Siria prima della terapia della strage praticata da jihadisti e lealisti di Bashar Asad.  Oggi i  ventriloqui di Bouteflika chiedono una sua rielezione, promettendo riforme. Si tratta dell’ennesimo raggiro: in vent’anni niente è stato realizzato. Nei rapporti con l’Unione Europea, la più grande nazione africana pur contando la metà della popolazione d’Egitto ha una disoccupazione superiore il 30%, con picchi di oltre il 50% fra i giovani, molti dei quali sono costretti a micro lavori incapaci di garantirgli un futuro. Come da noi, certo. Ma con la differenza che anche i ragazzi d’Algeria alla stregua dei fratelli di Marocco, Tunisia, Libia, Egitto pensano che sull’altra sponda del Mediterraneo ci sia il paradiso. E in mancanza d’altro vogliono arrivarci. Esperti di flussi migratori, già valutano l’ipotesi di rotte verso la Sardegna e le Baleari tracciate da possibili trafficanti. Scenari improbabili? Può darsi, ma la disperazione si governa sempre con estrema difficoltà.
Meschinamente coerente col proprio passato la Francia di Macron non appare diversa da quella di De Gaulle, anche nei discorsi fatti dal presidente in una recente intervista rilasciata all’ultimo paggio servile profumatamente pagato dalla Rai che risponde al nome di Fabio Fazio. In quella melensa chiacchiera nulla è stato detto sui tumulti nell’ex colonia, in verità nulla è stato chiesto. Sarebbe risultato politicamente scorretto,  oltre che imbarazzante per un presidente già problematizzato dal contropotere giallo interno e dalle tuttora presenti malefatte in terra d’Africa, non certo riferite alla sola vicenda del ‘franco coloniale’. Ma la Francia, la Germania, l’Italia, il terzetto che fa da motore alla Ue nei percorsi finanziari e la rende partner affaristica con Algeri, non si fanno  minimamente sfiorare dal dubbio che aiutare i raìs sia un danno per il futuro di tutti. Ovviamente a pagarne direttamente e immediatamente le spese è la gente d’Algeria, quella che ora alza la voce e l’orgogliosa testa. Che per far restare su un binario pacifico la protesta, di fronte all’impunità di chi si cela dietro il totem pur ammaccato di Bouteflika, annuncia l’astensione. Finora l’opposizione rappresentata dal Front El Moustabal,  Labour Party, Islamic Movement Society annuncia il boicottaggio alle presidenziali. Il National and Democratic Rally è incerto, forse ci sarà. Di altri sapremo. Il dramma è che altrove, vedi l’Egitto autoritario di Sisi, due terzi del popolo non vota. Ma il generale golpista si crogiola nel 97% dei consensi, quelle percentuali preconfezionate che anche il vecchio Bouteflika ha vantato finora.

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