Ora che il figlio d’un padre della travagliata patria moderna che si sta
ribellando a Bouteflika è caduto nei tumulti della piazza algerina, la vera
rabbia potrebbe esplodere. Da due settimane l’Algeria è in subbuglio, tanta
gente, anche il popolo dai sentimenti laici, non vuole che il
presidente-cariatide si ripresenti per un quinto mandato. Bouteflika è l’ombra
di se stesso, non solo del peccatore (non l’unico) della Rivoluzione tradita
già all’inizio dei Sessanta, ma della figura cui i militari ricorsero alla fine
del Novecento per superare una delle più sanguinose guerre civili
ideologico-religiose della Storia coloniale e maghrebina. Preso il potere nel
1999 Bouteflika l’ha conservato anche dopo la palese malattia che lo costringe
su una sedia a rotelle, silente e non si sa quanto cosciente. Ai conservatori,
in divisa e non, che lo muovono a piacimento sta bene così, quel nome finché
dura è un parafulmine che ha fatto superare anche la ventata di proteste delle
Primavere del 2011. Alla notizia, diffusa ufficialmente a inizio febbraio,
della partecipazione del presidente infermo (nel 2013 un ictus ne ha ridotto
capacità motorie, dal 2016 c’è chi giura siano compromesse anche quelle
comprensive e di eloquio) alle prossime elezioni d’aprile i malumori sono
cresciuti. Nei due ultimi venerdì un numero crescente di cittadini è sceso in
piazza, ieri molto più d’una settimana fa, tutti desiderosi di dire basta alla
farsa del presidente pilotato. Poche ore fa diverse agenzie hanno battuto la
nota che negli scontri sviluppatisi presso la sede del Parlamento, si lamenta
una vittima.
In una delle cariche della polizia un uomo, Hassan
Benkhedda, è scomparso per poi esser trovato cadavere. Il fratello e amici
gettano sospetti su gruppi di teppisti presenti per via, al servizio delle
forze dell’ordine, come i baltagheyah d’Egitto.
La vittima ha un nome celebre: è uno dei figli di Benyoucef Benkhedda, di
mestiere un cadi, che nella giurisprudenza musulmana svolge funzioni di notaio
e giudice di pace. Ma Benkhedda, noto per il suo impegno politico nel secondo
dopoguerra col Partito popolare algerino, è stato anche altro. Entrato dal 1955
nel Fronte di Liberazione Popolare guidò, con figure di spicco della resistenza
anticoloniale, la lotta d’indipendenza contro l’occupazione francese. Benkhedda
ricoprì l’incarico di presidente provvisorio dall’agosto 1961 al luglio ’62, visse
i tragici contrasti, clandestini e palesi, interni all’organizzazione e al
governo nel triennio 1962-65. Subì il colpo di mano del “clan di Oujda”,
rimanendo ai margini della politica nazionale dopo la presa dei potere del
colonnello Boumédiène. Fin qui il padre che, comunque, mori a 83 anni nel 2003,
conoscendo lo strazio fratricida degli anni Novanta (oltre 200.000 morti) e la
”riconciliazione” di Bouteflika. Vissuto a suon di proclami come il ‘piano di
crescita economica’ aperto ad accordi con l’Occidente, Unione Europea in testa,
e la stessa Russia putiniana di cui l’Algeria è concorrente per le forniture di
metano in Europa. Il suo potere è diventato da record, superando anche quello
dei militari, sia Boumédiène sia gli uomini duri della guerra al Fronte
Islamico di Salvezza come Zéroul, grazie a ritocchi costituzionali con cui
faceva allungare al Parlamento i termini per il suo mandato, inventandone un
terzo e un quarto.
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