E’ uno sciopero della
fame che lei stessa ha definito irreversibile e definitivo sin dal momento
dell’annuncio, circa un mese fa. La deputata kurda Leyla Güven, rieletta nella provincia
di Hakkari lo scorso 24 giugno, nonostante si trovasse già in galera dove
l’aveva condotta a fine gennaio 2018 un’operazione repressiva indiscriminata
del regime erdoğaniano, è decisa a portare la sua protesta sino alle estreme
conseguenze se il governo turco non risponderà a precise richieste. Il rifiuto
del cibo è rivolto a riaccendere la luce sul caso del detenuto sepolto vivo:
Abdullah Öcalan, leader del Partito dei lavoratori kurdi con cui l’allora
premier, e ora presidente turco, colloquiava per interposta persona cercando un
percorso di pacificazione. Sembrano passati decenni dalla rottura di quelle
trattative, invece son solo cinque anni durante i quali tutto è stato accantonato
ed è caduto nel dimenticatoio del più bieco realismo politico. Anni intensi e duri
di scontro e repressione verso la comunità kurda e l’opposizione interna, schiacciate
entrambe come altri nemici del grande capo, i gülenisti. Tante le vicende
accadute nel cuore anatolico e nelle terre di confine, verso la Siria e l’Iraq,
dove i kurdi sono presenti, creativi e combattivi con le proprie proposte
politiche odiate dalle varie sigle jihadiste insediate in loco e dalle milizie
fedeli ad Asad. E mentre i militanti del Rojava si son visti attaccati da
molteplici nemici, chi vive in Turchia subisce il soffocamento d’ogni libertà,
anche quella di rappresentanza come accade ai deputati eletti nel Meclis. La
clamorosa rimostranza della Güven punta a denunciare anche il protrarsi di
questo clima che soffoca ogni diversità d’opinione nel Paese riconducendo tutto
a un presunto pericolo terrorista. Da oggi il suo esempio è ripreso da
attivisti e democratici che in sostegno di questa lotta entrano in sciopero
della fame in varie città.
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