martedì 12 dicembre 2017

Medioriente, un Putin da guerra e pace


Non ha tempo da perdere il tutore dell’attuale Medioriente che in un rapido giro ha rassicurato l’alleato Asad, consegnato a un successo insperato solo un anno fa, e soprattutto a una sopravvivenza politica messa in forse dallo stesso Putin fino a un pezzo del 2016. Quindi è volato al Cairo dall’omologo al Sisi, a conferma che la geopolitica non guarda per il sottile. Poi la tappa ad Ankara, dov’è stato ricevuto con l’attenzione del caso da Erdoğan ormai amico e vicino, nonostante l’islamismo propugnato e i dissapori trascorsi, tutti archiviati per la cangiante attuale real politik. Le mosse dell’iper presidente russo, in predicato per un quarto mandato (sic) in faccia a qualsiasi Costituzione anche casalinga, sono da due anni a questa parte ineccepibili, per la Madre russa, per sé, e per una parte dei Paesi che in quello scacchiere si muovono. Lui risulta l’uomo della stabilità e della pace, ricercata con ogni mezzo, Tupolev compresi. Del resto, così va il mondo. Certo rimangono in sospeso altri attori, tenuti in bilico più che dalla strategia di fondo, mossa per rilanciare la patria fra le superpotenze, dalle tattiche del momento. Cangianti, come le opportunità, che l’ex l’uomo del Kgb accasato al Cremlino sa cogliere alla perfezione, tallonato nel Risiko mondiale solo dal leader-premier-presidente turco.
Per questo nella triade di colloqui di queste ore l’ultimo è sicuramente il più significativo, forse perché dell’uomo di Ankara Putin si fida poco. Nell’ufficialità dell’incontro, ad esempio, il padrone di casa ha inserito un tema caldissimo in questi giorni: la Gerusalemme incatenata a Israele dal gestaccio di Trump. Questione che Putin inserisce nel duello a distanza più che con l’attuale inquilino della Casa Bianca, con la superpotenza che quest’ultimo rappresenta. Però di Al-Quds, della questione palestinese, di altri risvolti ideologici della geopolitica locale farebbe a meno, anche perché si trascinano dietro un panorama intricatissimo. Però, poiché la geopolitica non è solo palcoscenici e flash, lui ci mette la faccia dal sorriso accattivante e sornione e coglie l’attimo. Così dichiara il vero: che l’operazione Gerusalemme punta a riportare caos in un’area che in cinque anni ha registrato mezzo milioni di morti. Questo particolare Putin non lo ricorda, ma i fatti sì. Lo stesso voltare pagina conservando Asad al potere e la Siria come nazione, lascia aperta la questione kurda, nell’area denominata Rojava, e lì dove gli alleati di lungo corso (Iran) e del momento (Turchia) puntano a ignorarla e reprimerla. E in questo giro, non s’è trattata la situazione irachena… Ma il viaggio double-face del leader moscovita aveva lo scopo di stabilire nuovi avamposti strategici per una Russia intenta a sottrarsi al ‘cordone sanitario’ che da anni la Nato gli ha teso con le ex nazioni dell’est.
Dunque occhio al Mediterraneo, insistendo su due temi all’ordine del giorno nella ricerca di normalizzazione: sicurezza ed economia. E Turchia ed Egitto, partner occidentali, il primo anche enorme pedina della difesa militare governata dagli Usa, sono elementi di primo piano da poter sottrarre all’influenza statunitense. Hanno bisogno di stabilità interna messa a repentaglio dal fondamentalismo islamico e dall’opposizione politica, cercano di compattare la supremazia delle proprie leadership anche con impulsi economici che hanno visto passi enormi compiuti per un decennio dal Paese anatolico e promesse, finora scarsamente realizzate, dall’uomo forte del più grande Stato arabo. Al Cairo e Ankara s’è parlato di presente e futuro, condendoli coi miliardi (pare 21) promessi per creare la prima centrale nucleare egiziana e del sistema missilistico S-400 utile ad entrambi. Anche queste, e ulteriori mosse, cui punta il neo zar più strategicamente ferrato che la Russia sia riuscita a sfornare dall’epoca sovietica, sembra che condurranno Putin a un ulteriore interregno, che lo indicherebbe come presidente per la quarta volta il prossimo 18 marzo. Durerebbe sino al 2024. Per un secolo che dopo quello definito breve dovrebbe risultare cortissimo, un’eternità.

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