“Orgoglioso di lanciare il mio voto di primo mattino e partecipare allo
storico giorno del Referendum per il Kurdstan”. Così ha twittato stamane,
prestissimo, Masoud, l’epigono del clan Barzani e da tempo leader dei kurdi
iracheni. Per l’evento esclusivamente consultivo, e nonostante tutto ostacolato
dal governo di Baghdad, negato da quelli di Ankara e Teheran, e surclassato
dagli stessi amici (di Masoud) americani che non vogliono prestare il fianco all’ennesimo
elemento divisivo fra etnìe e nazioni, sono stati approntati più di dodicimila
seggi. Dieci le ore dedicate alle consultazioni e 5.6 milioni gli aventi
diritti al voto. In realtà quello è il numero di tutti gli abitanti della
regione autonoma del Kurdistan, bambini compresi, ma la cifra citata estende il
referendum anche a gente presente nei territori attualmente controllati dai
peshmerga. Alla vigilia il premier iracheno Haider al-Abadi aveva annunciato,
tramite un messaggio televisivo, che sui promotori del referendum sarebbero
ricadute tutte le conseguenze divisive di questo passo elettorale. Ne aveva
ribadito l’incostituzionalità, affermando con toni gravi che non si può minare
l’unità del Paese.
Ma la posizione
fermissima tenuta in primo luogo da Barzani, che gli consente di ricevere
l’assenso anche dagli elettori delle frange avversarie dei due partiti di casa
(Unione patriottica e Gorran) non esclude il desiderio di dialogo col potere
centrale e coi grandi del mondo che scoraggiano lo sfaldamento della nazione.
Lui è ottimista e legge il futuro con questi occhi, piuttosto che con aria di
scontro. Bisognerà vedere cosa faranno gli altri davanti al risultato, che
ufficialmente verrà annunciato domani e dovrebbe vedere una valanga di assensi
per la causa dell’indipendenza. Passo comunque non vincolante, seppure simbolicamente
significativo. Per ora tre capitali interessate: Baghdad, Ankara, Teheran hanno
rispettivamente chiuso i confini di Stato, fatto muovere i carri armati verso
la frontiera del Kurdistan, interrotto i voli aerei. Per non far scaldare animi
e armi, finora non c’è stata alcuna mossa coercitiva, solo pantomime. Gli
esecutivi dei tre Stati sperano che le divisioni partitiche interne facciano da
freno alla supremazia che Barzani cerca col referendum. I giorni e le settimane
a seguire ci diranno di più.
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