Nelle vuote frasi di
circostanza, nelle allitterazioni che non riescono a mascherare scivolosi
interessi di real politik, il governo
italiano ha ripetuto ieri a Montecitorio ciò che aveva annunciato in sordina
alla vigilia di Ferragosto: il nostro ambasciatore torna in Egitto. Nonostante
Regeni, aggiungiamo noi. Se il ministro degli Esteri Alfano potesse
cancellerebbe quel nome e quel fatto, un peso per l’agognata normalizzazione
cui tengono strutture istituzionali come il ministero del Commercio con
l’Estero e potenti industrie di Stato, l’Ente Nazionale Idrocarburi, che non è
che siano state con le mani in mano nei diciotto mesi di crisi inevitabilmente
sorta fra Italia ed Egitto. Il ritiro dell’ambasciatore voluto dal governo
Renzi, con Gentiloni allora responsabile della Farnesina, rappresentava un
segnale simbolico ma significativo di un Paese che non abbandona i propri
cittadini alle intemperie del mondo. Specie quando queste non sono dettate da
un cinico destino, ma da disegni eversivi come quello conosciuto dall’Egitto
con la salita al potere del generale golpista Al Sisi, nel luglio 2013. L’assenza
dell’ambasciatore da simbolo è diventato un passo imbarazzante per il nuovo Esecutivo,
pur sempre presieduto da un politico del Partito Democratico, che comunque
aveva giurato coerenza e fermezza dello Stato al cospetto dei familiari dello
studioso assassinato. Assassinato, com’è risaputo, dopo un sequestro e
reiterate torture, perpetuate per giorni, da appartenenti alle forze
dell’Ordine facenti capo agli uomini del presidente Al Sisi. Sulla vicenda
l’Intelligence statunitense conosce anche i particolari, l’ha scritto il
cronista del New York Times, Declan
Walsh, e li avrebbe rivelati al nostro precedente governo (Renzi) che però ha
negato. Oggi, più precisamente, sappiamo che non la documentazione segreta era
giunta a Palazzo Chigi, ma conclusioni di indagini che, seppure non possono soddisfare
i due magistrati incaricati (Pignatone e Colaiocco) interessati a uno sviluppo
autonomo delle stesse in terra egiziana, certamente potevano coinvolgere i
nostri premier e ministro degli Esteri. Invece no. Inspiegabilmente negli
immancabili strettissimi rapporti che i vari governi italiani intrattengono con
quelli americani, a questa “dritta” non è seguito nulla, se non le infastidite
e impacciate reazioni dei vertici politici nostrani. Che hanno avuto uno
strascico nel dibattito di ieri a Montecitorio, quando rappresentanti delle
opposizioni (Cinque Stelle, Sinistra Italiana) hanno accusato il governo di
retorica e ipocrisia di fronte alla fatidica comunicazione del ministro Alfano:
“L’Egitto e l’Italia sono partner
ineludibili”. E in risposta si sono levate le prefiche accusatorie di “speculazione
politica” da parte di zombie parlamentari (Pierferdinando Casini, Fabrizio
Cicchitto) che per i trascorsi messi al servizio dei propri mentori d’un
passato remoto (la pregiata ditta indagata per “Mani pulite” Forlani &
Craxi) e recente (l’ex cavaliere Silvio Berlusconi), tutto potrebbero fare
tranne che ramanzine sulla speculazione in politica. Da che pulpiti… Ma questa
è la casta, questo il Parlamento e il governo che abbiamo. E di nuovo non c’è
nulla di più della vacuità con cui gli Esecutivi che si succedono a palazzo Chigi,
e partecipano ai vertici internazionali senza poter e voler smuovere alcunché,
mostrano solo assenza di fermezza e dignità, di coerenza e di giusta giustizia,
tanto per ripetere le allitterazioni che piacciono ad Alfano. Testimoniano,
ahinoi, le vecchie logiche su cui hanno vissuto prime, seconde e terze
Repubbliche: servire il capitale, abbandonando a sé qualsiasi morale. Per
questo l’attuale Egitto e l’Italia risultano partner ineludibili: i loro governi
inseguono unicamente le più oscure ragioni di Stato e gli interessi finanziari,
spazzando via e schiacciando tutto il resto.
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