Per i tempi giuridici afghani è iniziato anche
in tutta fretta (poco più d’un mese) il processo a 49 uomini accusati d’aver
massacrato la ventottenne Farkhunda a calci, pugni, bastonate e poi d’averne
bruciato il corpo. La colpa della donna - tutta da dimostrare - sarebbe stata
quella d’aver dato fuoco a una copia del Corano. Testimoni sostengono che il
gesto blasfemo non è mai accaduto. Ma già si sente dire che egualmente anche il
corpo di Farkhunda non avrebbe subìto lo scempio della combustione. Il linciaggio
mortale, però, c’è stato e la colpa di diciannove fra gli accusati, tutti
poliziotti che vestivano la divisa, è quella di non essere intervenuti. Di non
aver frenato la furia maschile e maschilista, ammantata da presupposti di
tradizionalismo religioso.
Il procuratore di Kabul ha chiesto al capo della
polizia e al ministro dell’Interno del governo Ghani di presenziare al processo
su cui si concentra l’attenzione di molti media, interni e stranieri, anche a
seguito della significativa ondata di protesta femminile che a fine marzo
scorso aveva visto mobilitarsi duemila donne in corteo nella capitale afghana.
Un evento straordinario in una città in perenne assedio, dove le stesse
manifestazioni sociali e politiche sono rarissime per ragioni di sicurezza e
timore di attacchi talebani. Nonostante il crimine non sia passato sotto
silenzio, come accade per ordinari omicidi femminili, le conseguenze non sono
per nulla scontate sul versante della giustizia. Il fatto che un congruo numero
di agenti sia sul banco degli imputati può diventare ostacolo per una condanna
esemplare.
Perché, come nel mondo a noi più prossimo, le
istituzioni fanno quadrato attorno a quelle strutture che le appartengono.
Inoltre, tutto ciò che riguarda polizia ed esercito afghani vedono intervenire,
e interferire, chi sostiene e promuove questi organismi: il governo Ghani e i
suoi tutor statunitensi. Costoro, in una fase di ulteriore difficoltà per la
situazione interna, fanno di tutto per reclutare uomini e irreggimentarli nei
corpi che difendono un modello statale totalmente claudicante. A chi veste l’uniforme
vengono promessi salario e impunità, altrimenti raggiungibili nelle bande private
di Warlords e nelle milizie talebane. I comportamenti di ciascuna delle parti
spesso coincidono, soprattutto riguardo al fondamentalismo religioso e
comportamentale.
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