Quanto
sangue e morte
avevano conosciuto i bambini e ragazzi di Peshawar prima di diventare vittime
loro stessi del terrore che vaga in quella terra? Non lo sapremo mai da chi non
può più offrire voce a tanto dolore. Forse, se mai riuscirà a farlo, ce lo
narrerà qualcuno fra i sopravvissuti. L’attacco crudele ai figli dei militari
pakistani è un atto vandalico che soffoca il cuore di genitori e parenti, delle
popolazioni di quei luoghi e anche di chi osserva le vicende del mondo. Un
massacro, odioso come tutte le stragi, ma più lacerante, per l’innocenza di chi
viene annientato per vendetta e perché deve pagare per il ruolo, in vari casi
malevolo, del proprio genitore. Una nemesi storica forzata che prende la via
diretta, la più cieca e spietata. Il mondo che si autoproclama civile ne è
colpito: dal politico, al religioso, al comunicatore tutti ribadiscono la
vergogna d’una simile barbarie. Tacciono, però, su altre stragi, insensate e
non meno violente, perpetrate su altri civili. Su familiari e bambini del
Waziristan o di quei luoghi dove i talebani vivono e ricevono consenso,
spontaneo oppure indotto. Se questo accade nella convinzione o nell’errore di
chi accetta di farsi guidare e difendere da simili elementi che rivendicano una
propria autoderminazione, può essere oggetto di riflessione e studio.
Quello che
non racconta o non spiega il “mondo civile”, cui ad esempio si vanta d’appartenere
il Pakistan dei signori Nawaz e Raheel Sharif (l’uno premier, l’altro
comandante delle Forze Armate), è l’utilità delle azioni draconiane verso i
nemici talebani, e soprattutto contro la gente dei villaggi da dov’essi stessi
provengono. Gente che li nutre e sceglie di farsi proteggere dai turbanti. In
molti casi è una scelta forzata, né libera né liberata dal pashtunwali che tiene unite certe etnìe per ataviche tradizioni e
ferree leggi secolari. Ma non sono naturali neppure quei confini imposti da chi
fra l’Otto e il Novecento disegnava il mondo, tracciando righe su carte
geografiche e cuciva camicie di forza geopolitiche sulla pelle di milioni
d’individui. L’imperialismo post colonialista è stato un fallimento come e più
delle insane idee con cui i grandi d’Europa cercavano il posto al sole. E se negli
ultimi anni c’è chi, come i talebani delle aree tribali (Fata), usa la fede e
la spada per imporre il proprio potere, nulla giustifica la strategia del
massacro attuata coi bombardamenti sui luoghi controllati da quest’ultimi. Sotto
quei missili crepano bambini non diversi da quelli dell’istituto di Peshawar,
certe azioni di dura repressione vengono compiute dai padri militari di quei
bambini. Prima, dopo la strage della scuola? Che importa? Vengono compiute e basta, ormai da tempo.
Nessun commento:
Posta un commento