mercoledì 17 dicembre 2014

Fata, dove cova l’odio

L’enormità del massacro, operato in gran parte sparando sull’indifeso bersaglio infantile e adolescenziale, la volontà di motivarlo come una vendetta per gli attacchi subiti dall’esercito pakistano su quell’area tribale considerata (e di fatto vissuta) come il proprio territorio pashtun, mostrano la durezza e la bestialità dello scontro fra i Tehreek-e-Taliban e le divise del generale Raheel Sharif.  Il cinismo ha preso il posto d’una conflittualità che non è mai misurata e ora non pone freno alla più losca brutalità. Purtroppo la conferma è drammatica e devastante. Ciò non giustifica gesti come quelli della scuola di Peshawar, un’azione disumana che i turbanti d’oltre confine del mullah Omar definiscono fuori da qualsiasi dettame islamico e lontana da qualsivoglia jihad. Ma fra le deliranti giustificazioni avanzate dal portavoce dei TTP, Umar Khorasan, c’è una verità: anche le popolazioni del Waziristan cadono sotto le imboscate delle truppe pakistane e le bombe dei droni statunitensi non uccidono solo i capi talebani, ma civili e bambini. In uno scontro senza esclusione di colpi e ultimamente senza limiti.  
Nel conflitto in atto da oltre un quinquennio, cresciuto negli ultimi mesi per la svolta antiterrorista del governo di Nawaz Sharif, i guerriglieri hanno perso importanti leader politici e militari, e gli oltre diecimila locali rimasti vittime della repressione non erano tutti combattenti. La decapitazione dei vertici del gruppo iniziò nel 2004 con l’eliminazione di Nek Muhammad, capo dei territori del Sud, ex mujaheedin antisovietico e fautore di quel territorio indipendente che anno dopo anno diventeranno le Fata (Federally Administered Tribal Area). Fra il 2009 e il 2011, altri tre comandanti intermedi dei Talebani pakistani vennero liquidati per mezzo dei droni: s’iniziò con Zainuddin Mehsud, che aveva rimpiazzato Nek, poi Qari Hussain e Muhammad Ifthikar. Molto più pesante era stata l’uccisione di Baitullah Mehsud, avvenuta sempre nel 2009, durante il mese d’agosto. Questi era una mente operativa e politica del gruppo e, come il mullah Omar sul fronte afghano, aveva sferrato attacchi sanguinosi ma anche avviato trattative, unendo freddezza e doti diplomatiche. Venne colpito da un drone statunitense proprio in un momento di dialogo con Islamabad, cosa che arroventò i rapporti non solo fra insorgenti e pakistani ma fra quest’ultimi e l’alleato americano che col governo locale continua a vivere un rapporto altalenate e spesso sprezzante.

Un altro killeraggio a mezzo drone che ha privato i Tehreek d’una guida forte s’era abbattuto tredici mesi or sono su Hakimullah Mehsud. Finito sul libro nero dell’esercito statunitense - e dei molteplici gruppi di mercenari di cui si serve - con una taglia di 5 milioni di dollari sulla testa, per aver colpito le truppe Nato sul territorio afghano che confina con le Fata. In varie occasioni i talib pakistani hanno lanciato attacchi per destabilizzare il governo di Karzai, facendo un favore sia ai fondamentalisti afghani, ma indirettamente anche all’odiato governo di Islamabad, accusato da osservatori internazionale d’utilizzare la propria Intelligence per destabilizzare la nazione vicina. L’attuale governo Ghani, che egualmente è sotto scacco talebano, sembra averne ereditato il ruolo. Nel rischio d’un peggioramento della sicurezza potrebbe condividere col Pakistan una guerra aperta ai TTP, diventando un terreno di scontro ancora più minato di quanto mostri l’attuale situazione. Lo spettro dell’escalation è lì oltre confine. Gli esempi sono gli attacchi di: Lahore, lo scorso 2 novembre con 60 vittime, preceduto nel mese di giugno da quello al terminal dell’aeroporto di Karachi (13 morti) e sempre a Peshawar nel settembre 2013, dove un commando suicida uccise 85 fedeli in una chiesa. Alla struttura dei TTP, ormai diventata un network, aderiscono altri gruppi: Lashkar-e-Tayyaba, Jaish-e-Muhammad e due formazioni antisciite (Lashkar-e-Jhangvi e Sipah-e-Sahaba Pakistan).  

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